Così parla un papabile Il cardinale Tagle. L'intervista - Le Cronache Ultimora
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Così parla un papabile Il cardinale Tagle. L’intervista

Così parla un papabile  Il cardinale Tagle. L’intervista

All’inizio del Conclave  che dovrà eleggere il successore di papa Francesco, riteniamo opportuno riproporre le parole del Cardinale Tagle, oggi considerato uno di papabili che entreranno nella Cappella Sistina. È una intervista del 1 ottobre 2014 ad appena un anno dalla elezione di papa Bergoglio. Fu una delle prime interviste rilasciate in Italia dall’allora arcivescovo di Manila (Filippine).

 

Antonio Manzo

RIMINI. Dicono di lui: “È un papabile nella storia della Chiesa che verrà”. Perchè Luis Antonio Gomik Tagle, arcivescovo di Manila, vanta sì cinquantasette anni e già da due anni è cardinale, ma nel mondo ormai è conosciuto per i suoi sorrisi, sempre larghi, gli occhi a mandorla di filippino con madre cinese, le lacrime in pubblico il giorno che Benedetto XVI gli impose la berretta cardinalizia e le mani sporche di fango tra il popolo di Takoblan, Leyte e dell’isola di Samar sconvolto e colpito dal tifone Haiyan. Più di diecimila morti, quattro milioni di senzatetto e, lui, il cardinale già papabile dopo Ratzinger, con i sandali ai piedi e una camicia bianca tra i soccorritori. “Ogni mattina, quando mi guardo allo specchio, spesso mi dico e mi ripeto: “Dio è davvero grande, io sono un mistero di Dio. Ma come io cardinale?”. Sono solo un umile viaggiatore nelle periferie dell’umanità con la parola del Vangelo. E pensare che, a quattordici anni, sognavo di fare il medico…”. Eppure, oggi con i suoi anni – classe di ferro 1957 – si ritrova a viaggiare il mondo perchè, dicono gli osservatori internazionali della cattolicità, ripropone il carisma di Giovanni Paolo II, la statura teologica di Benedetto XVI e l’affabilità umana e pastorale di Papa Francesco. Alla vigilia del Sinodo straordinario sulla famiglia che si aprirà domenica prossima, il cardinale arcivescovo di Manila è già a Roma ma gira anche l’Italia. Ironico e affabile, parla l’italiano. “Mi faccio capire? Accetto correzioni” dice. Ovunque folla, come quando invitato dal cardinale Scola a Milano si ritrovò ventimila filippini nel Duomo. A Rimini, domenica scorsa, tappa al Festival Francescano con Lorenzo Fazzini, il suo editore italiano, direttore della Emi. È qui che il cardinale ha lanciato il suo invito “Vieni a vivere la letizia nelle periferie”.

 

Cardinale Tagle, la narrazione evangelica delle “periferie” è ormai nel linguaggio del Papato di Francesco e ormai, finanche, del mondo che vuole cambiare. Quale bilancio fa del primo anno di Papa Francesco?

La “rivoluzione”, e metto questo sostantivo tra virgolette, di Papa Francesco è solo agli inizi. Lui ha, al tempo stesso, il carisma del francescano e la sapienza del gesuita. Lui vuole e propone una Chiesa segnata da tre parole: normalità, carità, semplicità.

 

Quando ha conosciuto più da vicino il cardinale Bergoglio, poi divenuto Papa?

Le racconto un episodio. Quando il cardinale Bergoglio era arcivescovo di Buenos Aires mi scriveva moltissimo ma io, preso dai miei impegni, rare volte gli rispondevo. Quelle lettere é, per me, come se fossero dei souvenir… Ma ora quando chiama, (sorride) tremo, tremo.

 

Gli incontri personali?

Giugno 2008, eravamo nel Quebec, uno Stato del Canada, per la celebrazione della quarantanovesima edizione del congresso eucaristico internazionale. Seduti vicino, nei sei giorni di assemblea, io vescovo di Imus e lui cardinale di Buenos Aires, approfondimmo la nostra amicizia e conoscenza. Quando parlai al congresso, ed avevo da poco compiuto cinquantuno anni, lui mi ascoltò. Scesi dalla tribuna, mi abbracciò e si complimentò con parole vere, autentiche, forti. Ricordo che in quei giorni prendemmo insieme caffè, caffè,  caffè…”.

 

Lei sarà uno dei tre presidenti delegati del Sinodo, su nomina del Papa, insieme al cardinale André Vingt Trois, arcivescovo di Parigi al cardinale Raymundo Damasceno Assis, arcivescovo di Aparecida e presidente della Conferenza Episcopale del Brasile. Cosa si aspetta dal Sinodo straordinario, così segnato alla vigilia da un confronto, anche piuttosto vivace, tra esponenti di primo piano della Chiesa?

Mi aspetto un Sinodo dove si discuta con franchezza, onestà intellettuale, che parli alla Chiesa e al mondo. Una discussione dove si esaminano le diverse situazioni anche alla luce dell’Istrumentum Laboris. Quando abbiamo fatto questa discussione preliminare ci siamo trovati di fronte al tema della famiglia e del matrimonio, declinato nel mondo in maniera diversa, e secondo le tradizioni specifiche, ad esempio, di Asia ed Africa. Confesso, ad esempio, che non conoscevo affatto le usanze del matrimonio, delle unioni, in una terra come quella africana. Tutto questo richiede un approccio pastorale nuovo, adeguato alla realtà odierna.

 

 

 

 

 

Basterà la discussione senza direttive pastorali?

Per la prima volta nella storia della Chiesa un Sinodo si celebra in due tappe. La prima, straordinaria, è quella dei prossimi giorni, per discutere della complessità della nuova situazione della famiglia nella crisi del mondo, chiarire lo “status question is” per dirla in termini canonici. Poi, l’anno prossimo, e sempre ad ottobre, ci sarà quella ordinaria nella quale Papa Francesco annuncerà le direttive pastorali.

 

Il cardinale Kasper, con il suo documento preparatorio, ha destato molto interesse e dibattito. Per lei viene prima la dottrina della Chiesa o la pastorale?

La vera teologia è dottrina. Io sono un teologo ma spesso i teologi parlano, parlano, parlano. Se la teologia resta a mezz’aria, lontana, non diventa né dottrina e né azione pastorale. Io, insegnante di teologia, consapevolmente insegno la dottrina in vista dell’azione pastorale. Se la teoria dottrinale resta nell’aria, la teologia è una lezione monca.

 

Accoglierebbe nella Chiesa le coppie non sposate?

Sono stupito e meravigliato di questo interrogativo che è stato riproposto in questa vigilia del Sinodo. Ma noi, nelle Filippine, ogni anno celebriamo, per ben quattro-cinque volte, il matrimonio delle coppie non sposate. Per noi non è una sorpresa. Noi annunciamo il Vangelo, li invitiamo “venite da noi”, li accogliamo con amore, misericordia. Spesso celebriamo i matrimoni religiosi di genitori adulti con figli. È una gioia, è normale. L’ultima celebrazione l’abbiamo fatta con venti coppie.

 

Qual è la nuova sfida che attende la Chiesa nel tempo della crisi delle famiglie?

Ci sono dati statistici allarmanti sulla solidità delle unioni matrimoniali che pongono interrogativi sull’idea sacramentale del matrimonio rispetto alla realtà. I matrimoni crollano per l’effetto della povertà. Le famiglie, nelle Filippine, sono separate e chiuse per effetto della povertà. Ad esempio, la Chiesa dovrà praticare una pastorale per i bambini che restano soli, abbandonati, con i genitori all’estero per guadagnare il pane e contemporaneamente mantenere una famiglia lontana. Questi bambini soli hanno difficoltà nei rapporti umani, anche nelle scuole. In questo Millennio per la famiglia si sono aperti nuovi punti di crisi, a partire dalle disgregazioni che avvengono per effetto dei fenomeni migratori. Sono situazioni che debbono condurci al discernimento perché non tutte le separazioni sono determinate dall’edonismo, dall’egoismo e dall’individualismo che pure segnano il nostro tempo.

 

Quali saranno le parole chiave del prossimo Sinodo?

Sono due: misericordia e compassione. Sì, compassione che trova la sua radice nella lingua latina, cum patior, cioè soffro con cioè vivere con la condivisione delle periferie del mondo che non sono spazio fisico ma spazio esistenziale. Se ascoltassimo di più la profonda sapienza dei poveri e le intuizioni spirituali che essi sanno offrine nell’umiltà della loro condizione, la Chiesa mostrerebbe al mondo il volto della gioia. Io, teologo, ricevo l’insegnamento dalle persone delle periferie.

 

Lei ospiterà Papa Francesco nel gennaio del 2015. Quale senso pastorale avrà questa visita?

Lui verrà in Sri Lanka a pregare per la pace ed invitare al dialogo inter religioso. Nelle Filippine, invece, verrà per pregare e portare la sua solidarietà alle popolazioni devastate dal tifone che piangono ancora migliaia e migliaia di vittime. La metà dei cattolici dell’Asia risiede nelle Filippine”.

 

Papa Francesco andrà in Cina?

Lui lo ha preannunciato con quello stile familiare ed immediato che gli è proprio. “In Cina? Voglio andare anche domani”. Lo ha detto lui nell’ultimo viaggio apostolico, me lo hanno ripetuto i gesuiti che lavorano come missionari in Cina e Giappone.

 

Come evolverà il Papato di Francesco?

Ha appena piantato il seme.

 

È sera, fuori dalla residenza del vescovo di Rimini Lambiasi, lo attendono ancora decine di giovani per un autografo, un selfie, una firma sul libro. Poi il saluto, sorridente: “Napoli, Napoli, Napoli…”

 

Dal quotidiano Il Mattino 1 ottobre 2014