di Silvia Siniscalchi
«La Zona Economica Speciale Unica per il Mezzogiorno rappresenta un’occasione di sviluppo territoriale e di coesione sociale che ribalta la visione di un Sud ancorato al familismo amorale, come teorizzato alla fine degli anni ‘50 da Edward C. Banfield». Con questa premessa Giuseppe Romano, avvocato e coordinatore della struttura di missione della ZES Unica per il Mezzogiorno, ha aperto il Workshop tematico organizzato presso l’Università degli Studi di Salerno da Teresa Amodio, Pierluigi De Felice e Silvia Siniscalchi, titolari delle cattedre e responsabili dei laboratori di Geografia dei Dipartimenti di Studi Umanistici e di Scienze del Patrimonio Culturale. Al centro della sua relazione, introdotta dal prof. Giovanni Romano, promotore dell’incontro e docente a contratto di Geografia, rivolta con passione e competenza agli studenti dei corsi di laurea in Lettere e Lingue e culture straniere, sono emersi gli ingredienti di una vera e propria “rivoluzione copernicana”, come è stato definito il mutamento di paradigma operativo e culturale sotteso all’idea di sviluppo della ZES. Quella che, a partire dal 2017, si è profilata come una misura di aiuto all’economia del Sud Italia, considerata semiperiferica in ambito europeo, è ora invece diventata l’occasione di aderire a un modello di sviluppo di carattere sistemico. Partendo dai numeri, l’avv. Romano ha parlato di circa 1.596 nuovi investimenti autorizzati per il Sud, pari a 30 miliardi di euro, con 40.000 nuovi occupati e un impatto di grande rilevanza sul piano economico e sociale per un territorio, quello del Mezzogiorno, tradizionalmente connotato dalla disoccupazione. Ma a quali regioni corrisponde questo territorio? La ZES Unica include quelle meridionali “classiche” (Abruzzo, Basilicata, Campania, Molise, Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) ma si estende, dallo scorso novembre, anche a Marche e Umbria, le cui potenzialità di sviluppo sono messe a regime in un più ampio modello di Macroregione mediterranea. Si tratta di un allargamento volto a coinvolgere un numero maggiore di comuni e imprese, estendendo altresì il concetto geografico del Mezzogiorno, per troppo tempo ancorato all’idea, sulla scia di Robert D. Putnam, di un’area priva di tradizioni civiche. Una rivoluzione culturale, dunque, quella della ZES Unica, anche dal punto di vista della strategia operativa: non privilegia infatti le logiche del modello funzionale fordista, le cui ricette “calate dall’alto” si sono rivelate fallimentari per il Sud, ma sposa al contrario la logica induttiva dello sviluppo “dal basso”, promuovendo il merito e la competenza, nella messa al bando di ogni logica clientelare. A fare da spartiacque a tal proposito è lo sportello digitale unico, la cui gestione è affidata a un gruppo di 60 persone, chiamate a coordinare lo sviluppo dei processi industriali della metà di tutte le regioni d’Italia. Attraverso lo sportello, infatti, gli imprenditori possono avanzare un’istanza digitale, allegando un progetto di investimento relativo all’avvio o all’ampliamento di un’attività industriale. L’istanza, non più sottoposta al vaglio di innumerevoli diversi enti e altrettante autorizzazioni, politiche e tecniche, affrancata dunque da qualunque condizionamento di tipo clientelare, “viaggia” all’interno di un meccanismo di grande rapidità: in 3 giorni gli attori proponenti ricevono la comunicazione di ammissione a una conferenza dei servizi, fissata non oltre i 30 successivi, durante i quali i progetti sono sottoposti alla valutazione delle amministrazioni comunali preposte. In caso di mancata risposta da parte di queste ultime, i progetti sono approvati sulla base del principio del silenzio-assenso. È così bypassata anche l’eventuale indolenza o superficialità della pubblica amministrazione, chiamata a rispondere del proprio operato senza possibilità di appello; sono altresì evitati tutti quei danni derivati, in passato, dalle lungaggini burocratiche: le aziende di respiro locale, nazionale o europeo, bisognose di immediata risposta per l’adeguamento dei propri parametri produttivi alle esigenze del mercato, non possono attendere. I loro investimenti, inoltre, sono compensati da un credito di imposta che parte dal quaranta per cento ed è suscettibile di arrivare al sessanta o anche al settanta per cento, nel caso di imprese piccole in ambiti territoriali particolarmente svantaggiati (come il Sulcis in Sardegna, ad esempio), così come di scendere al quindici per cento nel caso inverso, come per esempio è quello dell’Abruzzo, considerata oggi una regione in fase di transizione. A queste novità se ne aggiungono altre, legate all’immediatezza degli espropri di suoli agricoli individuati come potenziali siti di sviluppo industriale, superando le logiche paralizzanti risalenti alle modalità di insediamento delle A.S.I. negli anni Sessanta del secolo scorso. Il tutto avviene in un’ottica transcalare, nel confronto costante con i rappresentanti dei Comuni, delle Province e con i Presidenti delle Regioni coinvolte, ossia con gli enti preposti alla conoscenza puntuale dei territori, a partire dai loro diversi contesti di riferimento e dalle loro specifiche vocazioni. Da questo confronto, inoltre, conformemente al principio dello sviluppo “dal basso”, deriva anche la modifica del Piano Strategico Nazionale, a sua volta diventato unico e con scadenza triennale, rinnovato sulla base dei suggerimenti raccolti dalla segreteria tecnica della ZES Unica per il Mezzogiorno, che opera come una seconda cabina di regia. Il che avviene nell’attenzione alla sostenibilità ambientale e con un occhio di riguardo per le zone interne, a proposito delle quali l’avvocato Romano è stato sollecitato da alcune domande degli studenti, ai quali ha infine confidato di avere trascorso notti insonni al principio del proprio incarico, non avendo di fronte a sé alcun modello operativo preesistente a cui fare riferimento. Ora, invece, pur impegnato a 360 gradi in un lavoro intenso e quotidiano, può finalmente guardare al futuro del Mezzogiorno in una prospettiva di radicale cambiamento e di superamento della visione di Banfield, definitivamente confutata.





