di Clemente Ultimo
Dimenticate ispettori e commissari – in pensione o in servizio -, carabinieri e magistrati, così come avvocati alla Perry Mason: il protagonista – meglio, la protagonista – di questo “giallo multicolore” è una figura praticamente sconosciuta alla letteratura investigativa italiana. Si tratta infatti di una grafologa. Ma, si badi bene, non di quelle che dall’inclinazione di un’asta di una “t” sono in grado di dedurre la personalità di un individuo, bensì di chi con il proprio lavoro compara segni grafici, quasi sempre al fine di verifica l’autenticità di atti o attribuirne la paternità. Una grafologa forense insomma. Questa, infatti, è la professione di Agnese Malaspina, protagonista di “Carta Canta”, riuscita opera prima di Linda Di Giacomo. Autrice che, guarda caso, della grafologia forense ha fatto il proprio campo d’azione. Perché hai deciso di far svolgere ad Agnese la tua stessa professione, assolutamente inedita nel panorama del romanzo giallo italiano? “Ho sempre pensato che non ci sia cosa migliore che scrivere di quel che si conosce, in questo modo ho potuto trasferire nelle pagine del romanzo la mia esperienza lavorativa”. Molti appassionati di racconti polizieschi tendono a sovrapporre la figura del grafologo con quella del profiler delle serie tv americane, nel tuo romanzo cogli l’occasione per mettere il proverbiale puntino sulla “i”, anche se proprio questa confusione tra le due figure costituisce l’occasione per dare il via al romanzo. “La grafologia si divide in due rami, quella della personalità legata allo studio del carattere attraverso i segni grafici – in passato quasi confusa con la magia, ma solidamente ancorata a basi scientifiche – e quella forense. Due ambiti non completamente scollegati considerato che la base di studio è la stessa, ma assolutamente diversi e non sovrapponibili. L’indagine di Agnese nasce proprio dalla richiesta di una vecchia compagna di scuola di “decifrare” la personalità dell’autore di alcune lettere anonime, richiesta che la nostra grafologa forense non può soddisfare per i motivi appena ricordati. Questa richiesta, e soprattutto l’improvvisa scomparsa dell’amica, bastano però a mettere in moto l’indagine non convenzionale di Agnese. Un lavoro che si fonda su elementi che probabilmente un investigatore canonico non valuterebbe, tuttavia si tratta di un’indagine pienamente in linea con la grafologia forense”. Un’indagine nata per caso e condotta in modo a dir poco originale da chi, come la protagonista, non avrebbe mai immaginato di vestire i panni dell’investigatore. “Agnese sceglie di cercare la verità per un unico motivo: si sente investita di una responsabilità. Mettendo tutto a tacere dopo la scomparsa dell’ex compagna di scuola sentirebbe di venir meno ad un impegno assunto sul piano umano. Non c’è curiosità, non c’è audacia nell’agire di Agnese, solo una grande determinazione che si rafforza quando nella vicenda entreranno protagonisti molto giovani”. In questo romanzo hai mescolato con abilità tante atmosfere diverse, dando vita ad un ritmo brioso e coinvolgente. Una delle chiavi per arrivare a questo risultato è senza dubbio la grande famiglia di Agnese, fatta di ex mariti, nonni e nipoti che in realtà non hanno tra loro nessun grado di parentela ed altre strane combinazioni. “Questa famiglia a tratti così ingombrante per la protagonista, persona schiva e riservata, è di quelle che ti allattano e ti proteggono, anche se a volte hanno la tendenza a soffocarti. È una famiglia molto mediterranea, tuttavia non insensibile alle novità: potremmo quasi definirla un ibrido tra la nostra famiglia tradizionale e il modello di famiglia allargata dell’Europa del nord, capace di generare parentele inattese e perfettamente funzionanti, anche se in realtà parentele non sono”. Nel tuo romanzo c’è un protagonista discreto, ma evidente: il Sud. O meglio, una città di mare del Mezzogiorno. “Il Sud è quel legame un po’ colloso da cui si fa fatica a venir fuori. Viviamo una sorta di ubriacatura per questa terra che, spesso, da sobri detestiamo. Non so se ovunque sia così, credo che noi che viviamo sulle sponde del Mediterraneo abbiamo con la nostra terra d’origine un rapporto che è croce e delizia, una sorta di ebbrezza mista a rabbia”. Tra i pregi del tuo romanzo c’è sicuramente l’uso attento del linguaggio, ricercato senza essere mai pesante e, giusto notarlo, mai inutilmente scabroso. Anche quando racconti le parti più nere della storia di Agnese Malaspina. “Volevo una narrazione senza spigoli, ma che non si sottraesse al racconto della verità, ho scelto quindi un linguaggio che non stonasse con il libro che avevo intenzione di scrivere. Questo stile scorrevole è frutto di uno studio attento, direi quasi che ogni espressione è stata pesata e valutata: non è difficile scivolare nel sentimentalismo o nel sensazionalismo”. Leggeremo di una nuova indagine di Agnese? “Tutti mi chiedono cosa faranno i personaggi che ho inventato. Io so solo che sono sempre nella mia testa, del resto con loro ho trascorso davvero tanto tempo. Devo solo pensare a come riorganizzarli e farli ritornare. Magari capiterà così, all’improvviso”.