Teatro Verdi sold out nelle quattro giornate salernitane di “Solo” con il quale l’artista ci intima di difendere le nostre radici
Di OLGA CHIEFFI
Esiste un legame stretto tra il pensiero filosofico dell’esistenza e della ragione umane e il sapere del progettare-costruire, entrambe hanno un comune, e fondamentale riferimento, lo spazio. Noi uomini della fine ereditiamo il concetto di spazio come extensio, con esso Cartesio pensava lo spazio quale pienezza e continuità della materia e quindi quale medium del movimento, del tendere avanti a sé, quale sinonimo dell’amplificazione. E’ giusto questa l’essenza dello spettacolo “Solo” dell’amatissimo Arturo Brachetti che per quattro giorni ha divertito, divertendosi, il pubblico veramente eterogeneo e di ogni età che ha affollato il teatro Verdi. La casa, la sua metafora che è alla base della filosofia occidentale è stata la assoluta protagonista dello show, quel tòpos, il dove, che, localizzando, determina una cosa come cosa-per-l’uomo, che diventa condizione dell’esistenza, punto di riferimento dell’esperienza che consente la progettualità e l’attuazione, l’esistenza razionale, aprendo all’arte, e quindi assumendo la caratteristica comunicativa o sociale di “luogo familiare”, mentre la familiarità del luogo ha assunto il tratto di condizione necessaria di ogni progettualità, il segno, nel suo divenir parola, suono, teatro, gioco che diventa di-segno, archè, principio in quanto da-dove della progettualità, essenziale punto di dipartimento di ogni pensiero. Omaggio delicatissimo alla casa e alle proprie origini di Arturo Brachetti, che ci ha fatto visitare stanza per stanza, attraverso l’uso di una webcam ad ognuna delle quali è collegata un aneddoto del piccolo Arturo e della sua voglia di fantasia. Dietro ogni porta della micro casa si nasconde una nuova storia: dalla camera da letto alla cucina, fino addirittura al bagno, Brachetti accompagna lo spettatore in un mondo di ricordi ed illusioni, materializzando personaggi e raccontando la vita e i sogni, in fondo, un po’ di tutti noi. Ecco così susseguirsi gli eroi delle favole da Cappuccetto rosso ad Aladdin, Biancaneve, che fa un gratuito gesto dell’ombrello, alla principessa di Frozen, sino all’orco Shrek e a Peter Pan con la sua ombra ribelle: e sarà proprio quella di Brachetti, materializzatasi sul palco vogliosa di emergere, che finirà per essere sua avversaria nello scontro finale a colpi di laser. Oltre una sessantina i nuovi personaggi portati in scena da Brachetti per la prima volta: si spazia dal cinema, con i supereroi Marvel e DC fino ai Ghostbusters, alle icone della musica mondiale con Pavarotti, Celine Dion, Madonna, Michael Jackson o tutti e quattro i Beatles, fino alle serie tv, da Happy Days a Star Trek, fino al più recente Breaking Bad. Stavolta, il crescendo del “quick change” trova forse l’apice creativo nella divertente “sceneggiata napoletana” ambientata in cucina, mentre le fasi della vita raccontate sul water, non hanno convinto. Meraviglia per il vasto uso di effetti speciali e del grande ledwall che permette l’utilizzo di un coinvolgente e ricercatissimo videomapping, con cui Brachetti si fonde alla perfezione, ma lo abbiamo visto anche al Circo Orfei New Generation. Il “ciuffo più famoso d’Italia” incanta nei momenti introspettivi, con le classiche ombre cinesi o uno dei suoi cavalli di battaglia, la chapeaugraphie (con il multiforme “cappello bucato”), alle quali si aggiungono nuove specialità come l’utilizzo dei laser o il sand painting in cui ripercorre le tappe dello spettacolo e la sua vita, sino a ritrovarsi con un ombrello in mano a proteggere la sua Casa. Brachetti porta in giro un varietà vincente comico, surrealista, interattivo a base di scenografia realizzate col video mapping, con lievitazioni, con le tecniche del fumetto, con l’apporto del laser, con riferimenti a Magritte e con sprazzi di Queen e del Vivaldi del Cimento dell’armonia e dell’invenzione, che non temendo di scadere neanche nelle battutacce più becere da avanspettacolo. Un modo per fare i conti col proprio passato per continuare ad essere il sogno di lui stesso.