Ospitiamo la testimonianza dell’attore salernitano. “Il dopo non sappiamo neanche come immaginarlo. La sfida resta questa, immaginare cosa possa esserci dopo questa pausa. Essere inguaribilmente ottimisti serve a qualcosa”.
Di Antonio Speranza
Il calendario sul cellulare resta inesorabilmente vuoto e questa immobilità fisica alla quale siamo costretti rischia di immobilizzare anche il cervello, le idee. È più di un mese che siamo rinchiusi e l’ottimismo delle prime settimane sta lasciando il posto alla frustrazione e all’incertezza. Ho smesso di ascoltare la tv e di leggere quanto si scrive sui social, cambia poco per la mia condizione; preferisco non essere informato. Sapere quello che decidono le autorità, il governo centrale, cambierebbe di poco la mia condizione e tutte le volte che spostano l’asticella un po’ più in là ho solo la speranza che tutto questo possa realmente finire nel giro di pochi mesi. Nel frattempo, la vita lavorativa è andata in pausa (per fortuna non quella personale), i progetti, gli spettacoli, le serate, le prove, gli incontri, i reading, i film, gli spot. La mente non fa altro che pensare a quando si potrà andare di nuovo in scena, sentire di nuovo “azione”, potersi confrontare su un copione. Il Napoli Teatro Festival non si svolgerà nel periodo stabilito inizialmente, la stagione estiva ad Amalfi è inesorabilmente slittata, gli spettacoli da fare nelle piazze e nei borghi del Cilento quasi sicuramente non ci saranno, lo spot da girare poche settimane dopo l’inizio della quarantena è stato rimandato. Insomma tutto lascia intendere che la situazione sia molto grave ed irreversibile. Le uniche vie di fuga sono le letture e i concerti online, ma il problema del guadagno resta. Il nuovo anno mi aveva fatto riprendere l’entusiasmo per recuperare e valorizzare un progetto musicale al quale tengo molto: uno spettacolo di teatro canzone, uno show live con tanta musica e intrattenimento in stile Gaber/Cochi e Renato/Paolo Conte/ Elio e le storie tese.
La collaborazione con il club del mio paese di origine e l’amicizia di compagni di vecchia data stavano facendo sì che prendesse forma un progetto spontaneo, vivo, rinnovato dall’esperienza ventennale di tutti i partecipanti. Tutto questo non c’è più, è andato in pausa anche questo. Ognuno nella sua casa pensa, riflette, scrive, elabora melodie, studia il suo strumento, immagina battute, gag comiche, fantasticando sulle reazioni del pubblico, lo stupore della gente che ascolta e si domanda: “ma adesso questi che cosa si inventeranno?”. Possiamo farlo, ognuno a casa sua, possiamo farlo anche guardandoci in cam oppure parlando in videochat su whatsapp, ma non sarà mai la stessa cosa. Il pubblico non ci sarà, ed immaginare il momento nel quale il pubblico tornerà ad assistere agli spettacoli è utopistico; il settore spettacolo dal vivo sarà l’ultimo a ripartire, perché è stato il primo ad essere fermato; ma ciò che più manca è tutto quello che c’è prima di una rappresentazione: le ore a discutere su un brano da fare o non fare, gli attimi di entusiasmo perché finalmente l’amalgama è quello giusto, i sorrisi, gli sfottò, i silenzi, le pause, quelle giuste, indispensabili per il mio lavoro. Le pause della musica, le pause della recitazione, le pause piene anche se ricche di silenzio. Le pause. Ecco il vero problema di tutto questo periodo. Non faccio altro che ripetermi che tutto questo è soltanto una pausa, una lunga pausa. Il problema vero è che questa pausa è vuota, non ha significato perché non ti permette di condividere e di vivere tutto ciò che è reale ed indispensabile per poter fare questo lavoro. Le pause hanno senso perché prima c’è qualcosa e dopo c’è qualcosa. Questa pausa non ha senso perché c’è stato un prima, ma il dopo non sappiamo neanche come immaginarlo. La sfida resta questa, immaginare cosa possa esserci dopo questa pausa. Essere inguaribilmente ottimisti serve a qualcosa. Sono convinto che dopo tutto quello che sta accadendo la gente avrà difficoltà ad uscire di nuovo con la stessa spensieratezza di prima, ma la convinzione più grande è che le persone avranno voglia di sentirsi parte di qualcosa, di ritrovare quel senso di appartenenza. Avranno voglia di riconoscersi in qualcosa. Chissà che le persone non abbiano voglia di ritrovare la sana voglia di divertirsi e di condividere i loro mondi. La missione di chi opera nel settore dello spettacolo può essere proprio questa: individuare le necessità delle persone e colmare quel vuoto. Chissà che le persone non abbiano voglia di emozionarsi ancora di fronte alle cose semplici come quella di incontrarsi e condividere i propri percorsi e le proprie idee in un rinnovato cammino condiviso all’interno del quale l’arte è il denominatore comune. Io non ho una soluzione a questo problema, ma il mio inguaribile ottimismo mi porta a dire che verrà un tempo, migliore rispetto a quello che abbiamo vissuto, dove ognuno sarà capace di ascoltare l’altro per avere la possibilità di crescere insieme. Questa lunga pausa può servire a capire il reale valore delle persone e la creazione che nasce dal confronto tra gli individui; recuperare quegli attimi che nel momento attuale non possiamo più vivere. Perché soltanto quando qualcosa ci manca ne capiamo il vero significato. Restando uniti una soluzione si può trovare e si deve trovare. Chissà che la soluzione non sia proprio il ritrovarsi per condividere e confrontarsi. Chissà!!!