
di Vito Pinto
«Siamo tutti eredi di un sogno… E’ il sogno di Monsignor Marini, che in Amalfi fondò L’Orfanotrofio “Anna e Natalia” per fare dei ragazzi, orfani a causa della guerra, “onesti cittadini e buoni cristiani”». Così l’inizio del volume (De Luca Editore) del novantenne e sempre attivo don Luigi Colavolpe, dedicato ai volontari del Centro di Solidarietà intitolato all’illustre Arcivescovo e che sarà presentato oggi (ore 18,30) nel suggestivo e splendido Duomo di Amalfi al termine del rito religioso. E’ una raccolta di testi del magistero pastorale di Mons Marini per i fedeli della sua Diocesi nei trent’anni di Pastore della Chiesa di Amalfi, scritti che don Luigi Colavolpe riporta con ampi stralci, commenta, chiosa quasi a prosieguo di quell’antico e sempre attuale insegnamento che fu impartito oltre duemila anni fa a dodici pescatori e poco istruiti giovani del “popolo eletto”. Un lavoro enorme che ha lungamente e con senso di discernimento e meditazione impegnato don Luigi Colavolpe, il quale ha realizzato quest’opera mentre è in corso la fase diocesana del processo per la canonizzazione di Mons. Ercolano Marini, aperta sulla tomba di S. Andrea da Mons. Orazio Soricelli, attuale Arcivescovo della Diocesi di Amalfi-Cava de’ Tirreni. In una breve, ma intensa presentazione, il benedettino Padre Salvatore Marsili, scrive che per Mons. Marini: «I misteri della fede non andavano solo studiati nella scuola di teologia o nell’insegnamento del catechismo, ma dovevano essere anche celebrati nella liturgia per “perfondere di luce e di gioia” le anime. Perciò auspicava che la Santa Messa fosse celebrata nella lingua corrente, perché il latino non era più compreso dalla gente comune. Era un pensiero lungimirante che, nel marzo 1911, aveva affidato a una “Notificazione” sul Bollettino Diocesano di Norcia: “la traduzione italiana farà ai fedeli meglio gustare le bellezze del linguaggio della Chiesa, il quale per tal modo, dopo avere nutrito l’intelligenza con solo dottrina, scenderà più profondamente nel cuore per elevare il suoi affetti e santificarli”. Per questo Mons. Marini merita di essere ricordato non solo come “l’antesignano del rinnovamento liturgico in Italia”, ma anche come “il precursore del Concilio”». Mons. Ercolano Marini, le cui spoglie riposano nella cripta della Cattedrale, fu Arcivescovo di Amalfi dal 1915 al 1945, vivendo, insieme alla città, le due grandi guerre mondiali del secolo scorso. Una presenza di grande importanza per quegli anni che certamente non furono facili; tra l’altro non va dimenticato che la Costiera Amalfitana fu mèta di numerosi rifugiati dalla storia provenienti dai due grandi totalitarismi del ‘900: il nazismo e il comunismo. Mons. Marini era nato il 21 settembre 1889 a Matelica in provincia di Macerata, dove è sepolto lo storico Presidente dell’ENI, Enrico Mattei. Ordinato sacerdote il 21 settembre 1889, laureato in teologia a Bologna, il suo primo apostolato fu come parroco, poi canonico e quindi priore della Cattedrale di Terni. Dal 13 gennaio 1901 fu vicario generale del vescovo di Spoleto sino al 1904 quando venne eletto vescovo titolare di Archelaide in Palestina da Papa Pio X; consacrato il 31 luglio successivo fu destinato alla diocesi di Norcia dove si impegnò per veder ultimata la sistemazione e l’abbellimento della cripta di S. Benedetto, ove il Santo fondatore e la sorella S. Scolastica videro la luce nello stesso giorno e nella stessa ora. Fu Papa Benedetto XV il 2 giugno del 1915 ad affidargli l’Arcidiocesi di Amalfi dove rimase sino al 3 ottobre 1945. Nella città costiera Mons. Marini giunse mentre era in corso il primo grande conflitto mondiale, che portò non pochi lutti e devastazioni, soprattutto morali e sociali, all’intera nazione. La presenza di Mons. Marini si rivelò subito importante per la piccola comunità amalfitana, impoverita dei giovani chiamati alle armi. Quando giunse ad Amalfi era accompagnato dalla fama di brillante oratore e raffinato scrittore, che aveva dato alle stampe numerose sue opere, tra le quali non poche lettere pastorali indirizzate “al clero e al popolo di Dio”. Il lungo episcopato amalfitano fu caratterizzato non solo dai due grandi conflitti mondiali, ma anche da gravi calamità naturali, eventi nei quali Mons. Marini mostrò tutta la sua sensibilità di pastore. Era, infatti, il 31 luglio del 1919, anno in cui era in pieno svolgimento la devastante influenza spagnola, quando inaugurò l’Orfanatrofio in un edificio donatogli dalla famiglia Torre e nel quale volle istituire una scuola di formazione professionale per ebanisti e meccanici, proprio per garantire un futuro ai piccoli e giovani ospiti. Un’opera, si disse all’epoca, realizzata con coraggio e fede nella Provvidenza divina, “senza mezzi, senza poteri, senza validi aiuti”, che poté accogliere orfani di guerra e fanciulli e ragazzi “privi della carezza paterna o materna”. Si era appena conclusa la grande guerra, che all’attenzione di Mons. Marini balzò la condizione femminile. E fu la lettera pastorale dedicata alla dignità delle donne e delle condizioni in cui versavano; il presule era stato negativamente colpito da una fotografia, ad uso dei turisti, nella quale erano riprodotte delle “donne portanti al collo lunghi barili e una verga in mano e sotto la scritta: ‘Costumi di Amalfi’”. La reazione del Presule fu quasi immediata; scrisse: «Pare che una condanna pesi ancora sulle donne dei nostri villaggi. Curve sotto inverosimili pesi, esse discendono alla valle per innumere, multiformi scale sconnesse, per sentieri rocciosi, levigati dai quotidiani sudori di doglia, correndo per conservare l’equilibrio, e spesso cantando, quasi a mostrare che, nello schiacciamento del corpo, esse conservano l’anima libera a elevarsi a nobili sensi e a delicati pensieri». Una paterna sollecitudine che non lasciò spazio a equivoci e aprì un dibattito che si fece subito interessante. Un giornalista dell’epoca scrisse: «Questo prelato ha una mente nutrita di forti studi e un’anima non insensibile alle ansie e alle speranze del popolo. La sua missione non si esercita, non si esaurisce nell’ambito della gloriosa cattedrale, ma va oltre l’altare, oltre il suo trono; e il suo spirito vaga per le vie, come a sollevare miserie, come a rinnovare pace alla gente affaticata e pensosa». Erano trascorsi 30 anni di guida pastorale nell’Arcidiocesi di Amalfi, quando Mons. Marini, durante una udienza privata, chiese a Papa Pio XII di volerlo dispensare da quell’incarico gravoso in quanto ormai sentiva “il bisogno di solitudine e di silenzio”. In una Cattedrale gremita di popolo – ricorda Sigismondo Nastri – Mons. Marini tracciò il consuntivo della sua attività pastorale. «Abbracciando in una visione di volo la vita pastorale svoltasi nel lungo periodo, mi riappare in soavità rinnovata la vostra adesione alle mie iniziative e il vostro affetto devoto, che è culminato nella celebrazione solenne dei miei giubilei e del quarantesimo del mio episcopato. Ma, insieme con l’affermazione del vostro filiale attaccamento, così generale e costante, non potevano mancare e non sono mancate ansie, incomprensioni ed amarezze, in cui, logorandosi, la mia vita si è venuta consumando come sopra un altare: ad immolandum Domino veni!». Prima di lasciare la Diocesi chiamò il suo segretario e gli disse di vendere alcuni pezzi di posateria d’argento, forse le ultime cose da poter alienare, avendo già venduta la preziosa croce episcopale. Il giorno seguente diede al prelato un elenco di famiglie da soccorrere e la relativa somma da lasciare ad ognuna. Quindi aggiunse: «Ora non ho più nulla, lascio la Diocesi povero, per vivere i miei ultimi anni, come ho sempre desiderato di vivere, povero come Gesù». Mons. Ercolano Marini si ritirò nell’antica Abbazia Benedettina di Finalpia a Finale Ligure in provincia di Savona. Era il 16 novembre del 1950 quando raggiunse la “casa dedl Padre” nell’Istituto della Fraternità Sacerdotale di Roma, dove si era ritirato. La mattina di domenica 19 novembre la salma fu trasportata ad Amalfi. Scortata da Carabinieri in motocicletta, giunse in città alle quattro del pomeriggio, “accolta trionfalmente, da due ali di popolo”. Nel suo testamento spirituale Mons. Marini aveva annotato: «Nulla possiedo, né stabili, né oggetti preziosi, né titoli di Stato, né moneta contante. Come sono grato al Signore dello stato di povertà, in cui lascio la terra!». Nel 1991, nel corso di una cerimonia rievocativa in cattedrale, il compianto on. Francesco Amodio, raccogliendo le aspirazioni dei suoi concittadini, diceva: «Sorgerà il giorno in cui anche monsignor Marini potrà essere annoverato tra i Santi che noi veneriamo? Noi formuliamo il voto e l’augurio».Oggi è in corso la fase diocesana della causa di canonizzazione, primo importante passo verso gli onori degli altari.