Alberico Di Pasquale e il "posto fisso" che non t'aspetti - Le Cronache Ultimora
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Alberico Di Pasquale e il “posto fisso” che non t’aspetti

Alberico Di Pasquale e il “posto fisso” che non t’aspetti

di Erika Noschese

Originario di Macchia, frazione di Montecorvino Rovella, oggi conta su quasi 300mila followers su Instagram. Montecorvino Rovella, un piccolo comune in provincia di Salerno, ha dato i natali a uno dei content creator più originali e seguiti del momento. Stiamo parlando di Alberico Di Pasquale, che ha trasformato un concetto all’apparenza banale come il “posto fisso” in un vero e proprio fenomeno social. Con ironia, schiettezza e una buona dose di dissacrante realtà, Alberico ha conquistato migliaia di follower sulle varie piattaforme social, raccontando vizi e virtù, luoghi comuni e verità nascoste del mondo del lavoro dipendente. Ma chi è davvero Alberico Di Pasquale dietro lo schermo? Quali sono le sue ispirazioni e come è riuscito a intercettare un sentire comune così profondamente radicato nella società italiana? Lo abbiamo intervistato per capire meglio il suo percorso, le sue idee e il futuro del suo “posto fisso” nel panorama digitale. L’unico posto in cui non è stato “fisso” è proprio la sua Salerno. «Ho vissuto a Macchia di Montecorvino fino al 2006, poi mi sono sposato e mi sono trasferito a Ischia porto. E faccio il pendolare su Napoli, perché lavoro a Pozzuoli. Ho il mezzo alle 6.20 per stare in ufficio alle 8, alle 16 esco dall’ufficio e ho il mezzo alle 16.30. Verso le 18 sono a casa, la sera». Oltre ai TikTok c’è di più, potremmo dire. «Tutti credono io sia il personaggio che recito, ma dietro c’è tutta un’altra realtà. Alla fine, col personaggio una persona vuole comunicare qualcosa, enfatizzando alcuni aspetti perché sennò un creator non arriva al pubblico. Se non esageri nel personaggio, se lo mantieni nella normalità, non attiri e non raggiungi il pubblico. Devi per forza “caricarlo”, su alcune cose». Eppure, il “personaggio” non è lontanissimo da lei. «Partiamo dalla base: io realmente sono un dipendente statale. Non ho mai detto online cosa faccio e non lo voglio dire, perché trascinerei poi i miei colleghi e il mio posto di lavoro all’interno di questa cosa: crederebbero che il mio posto di lavoro sia davvero come lo descrivo nei video; quindi, si creerebbero screzi e non mi va. Il personaggio è nato per caso: feci una battuta, ha funzionato, piaceva al pubblico e ho scoperto che, tramite questo personaggio, potevo battere su determinati punti. Non tutti ci arrivano, nel senso che esaspero la nullafacenza, o il fatto che il posto fisso italiano usufruisce di tutti i suoi diritti ma non assolve ai suoi doveri. Lo faccio, in parte, anche per rimarcare il fatto che sui posti di lavoro ci sono dei diritti». Diritti che, stando alla sua esperienza personale, non sono scontati. «Io ho perso mio padre per un incidente sul lavoro, nel 2009. Lavorava sulla Salerno-Reggio Calabria e la ditta, per fare prima e velocizzare i lavori, non faceva montare loro delle protezioni di sicurezza che evitassero loro di cadere da queste impalcature. Lui, poco prima di finire il turno di lavoro, stava cercando di risolvere alcuni problemi su questo macchinario dove lavoravano, su cui c’erano stati dei problemi per cui si era bloccato: mentre si muoveva per provare a lasciare il macchinario funzionante per il turno successivo, è caduto dall’alto. Gli altri suoi colleghi lo hanno spostato: lui si era rotto le vertebre durante la caduta e loro, spostandolo, gli hanno causato la lesione del midollo spinale. Da qui nasce il fatto, che spesso denuncio, di tanti lavoratori che non sono preparati e spesso vedono di cattivo occhio i corsi di sicurezza sul lavoro. Alcune volte li fanno solo su carta ma poi realmente non si sa come intervenire in casi di emergenze. Io vengo da questa esperienza: con mia mamma e mia sorella siamo stati 33 giorni fuori dalla sala di rianimazione al “Ruggi”, dopodiché mio padre non ce l’ha fatta. Uso il mio personaggio anche per sensibilizzare. Essendo neofita e non un attore professionista, a volte sbaglio a comunicare ciò che vorrei far arrivare davvero al pubblico: ma il personaggio nasce per denunciare la mediocrità e la sufficienza che si vivono nei posti di lavoro. Ad esempio, ho lavorato durante le famosissime estati nelle fabbriche di pomodori, quindi so come funziona anche lì. Pur focalizzandomi molto sul posto fisso, cerco di portare al pubblico anche ciò che non va negli altri posti di lavoro. Poi ovviamente uso i social anche per dire la mia sulle vicende di tremenda attualità, tipo il caso Garlasco». Risultando, magari, una voce autorevole rispetto a tanti professionisti che faticano a parlarne sui social. «Purtroppo il pubblico, che ringrazio, perché ti dà enormi soddisfazioni interagendo, non ti offre la stessa cassa risonanza se ti poni da persona normale o, peggio, da professionista. Non hai la stessa cassa di risonanza rispetto a chi esagera, urla, è fuori dagli schemi. Ad esempio, perché tutti questi personaggi trash hanno successo? Perché sono fuori dagli schemi. Il social dà modo di amplificare la visibilità di chi può dare dei messaggi, ma purtroppo amplifica anche chi dà messaggi negativi». Per lei la creazione di contenuti resta un hobby. «Lo vivo come un hobby. Anzi, in realtà lo vivo come una valvola di sfogo, un diversivo dalla vita quotidiana che vivo tra il lavoro e l’assistenza a mia figlia. Questo è un piccolo spazio che ho ritagliato per me, per tenermi impegnato su altre cose». E non perde di vista le sue passioni, tra cui la Salernitana. «Sono nel covo del nemico: qui dove abito io hanno addobbato tutto. La sofferenza è interna, per me. Ultimamente penso che nel ’99 criticavamo Chianese. Poi abbiamo fatto la serie A con Stewart e Ikwuemesi. Stendiamo poi un velo pietoso sull’attualità e sul caso Brescia: sembra abbiano fatto di tutto per ripescare la Sampdoria, però… ne parlo poco nei social, ma soffro tanto dentro. Pure i ragazzi di alicicomeprima mi hanno chiesto di fare qualche video con loro, sulla festa del Napoli: ho detto che potrei fingere, ma non riesco. Loro hanno vinto lo scudetto, io sto lottando per i playout, quindi è tristissimo per me». Ha già un’idea o una speranza per questi playout? «Questa squadra ha dimostrato di tutto e di più: una partita la faceva da grande squadra e un’altra, immediatamente dopo, era irriconoscibile: sembrava il presepe di Natale in campo. Questi playout saranno un’incognita: dipenderà tutto da come scenderanno in campo. Vorrei essere ottimista, ma ho paura di restarci male perché non hanno mai dato una certezza che fosse una. Sarebbe bello guardarsi il campionato e capire se la partita puoi vincere o perdere. Quest’anno, però, scendevamo in campo dando quasi per scontato che il risultato sarebbe stato negativo. Ci sono rimasto troppo male».