“Il lato oscuro dell’Amore”: è il titolo del romanzo scritto dal dottor Leonardo Abazia, psicologo, psicoterapeuta e presidente dell’Icpg (Istituto Campano di Psicologia Giuridica), dove, attraverso il centro clinico annesso, si occupa di minori a rischio, famiglie multiproblematiche e uomini violenti; tiene, inoltre, corsi di formazione per professionisti. Nel suo libro “Il Lato Oscuro dell’Amore” viene trattato soprattutto il tema dello stalking, del cyberstalking e di quello che possiamo definire “amore malato”. Il libro è strutturato in tre parti: nella prima parte si tenta di spiegare il fenomeno dal punto di vista dello stalker attraverso il racconto di uno stalkeraggio finito in omicidio, nella seconda parte il tema dello stalking viene trattato da un punto di vista teorico, storico e antropologico, ma comunque alla portata anche dei “non addetti ai lavori” e nella terza e ultima parte, vengono riportati 10 casi reali di stalking avvenuti sia a Napoli che a Milano.
Ci può parlare del fenomeno dello stalking? E a suo avviso, è cambiato nel corso del tempo?
«Il fenomeno delle molestie e delle minacce assillanti, meglio noto con il termine anglosassone di stalking non è certo nuovo e, pur essendo, un fenomeno antico e complesso, oggi più che mai, suscita l’interesse politico, mediatico e scientifico.
La matrice dello stalking è legata ad una sorta di hybris, cioè all’arroganza di voler vincere a tutti i costi: arroganza di chi non può permettersi di ricevere un rifiuto. È un fenomeno purtroppo presente dalla notte dei tempi: basti anche solo pensare che sulla copertina viene raffigurato il rapimento di Proserpina che rappresenta la conclusione dell’attività di stalkeraggio da Ade, dio dell’oltretomba. Ovviamente, oggi, con una legge dello Stato che è andata a definire con chiarezza gli elementi comportamentali tipici di tale reato che possono essere definiti “persecutori”, possiamo descrivere in maniera più particolareggiata i vari tipi di stalkeraggio. Le modalità con cui si stalkera si sono adeguate alla società moderna e sono nati anche altre tipologie, come il cyberstalking, perpetuate nel mondo digitale, di cui sono vittime i giovani adolescenti. Nel corso dell’ultimo trentennio come consulente del Ministero della Giustizia, come psicologo dell’Asl nonché oggi come presidente dell’Icpg, si è osservato il fenomeno da angolazioni diverse come emerge dalle pagine del libro. I numeri riguardanti il fenomeno sono in continuo cambiamento e, sfortunatamente, in continuo aumento: difatti, dall’ultima indagine dell’ISTAT (2014), emerge che il 21,5% delle donne fra i 16 e i 70 anni (pari a 2 milioni 151 mila) abbia subito comportamenti persecutori almeno una volta nell’arco della propria vita».
Il titolo da lei scelto sembrerebbe inserire lo stalking in una cornice amorosa. A me sembra quasi una contraddizione, ci spieghi un po’ meglio.
«Si, effettivamente è un contro senso associare un sentimento così puro, o almeno così dovrebbe essere, come l’amore ad un reato così oscuro come lo stalking. Il problema è che, ingenuamente, si tende a ritenere i comportamenti dello stalker, come ad esempio l’ossessione, la gelosia e la possessività come frutto di un amore molto intenso. Niente di più lontano dal vero! È necessario, infatti, non confondere i due fenomeni. Se, da un lato, è vero che la gelosia e il sentimento d’appartenenza dato dall’unicità del rapporto di amore, sono caratteristiche che si riscontrano in una relazione affettiva sana, c’è, invece, da considerare che il controllo ossessivo della relazione e dell’altro sfociano, spesso, in aspetti psicopatologici dove il sano diventa malsano. Ed è lì il primo campanello d’allarme. Un altro errore comune è quello di confondere lo stalking con il femminicidio: difatti non tutti gli stalker attivano un comportamento ossessivo verso le donne ma anche verso uomini e verso coloro che appartengono alle professioni d’aiuto (medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali…). Inoltre, non tutte le vittime di femminicidio hanno subito precedentemente stalking».
Recentemente è stata approvata la legge n. 69/2019, conosciuta anche come “Codice Rosso”. Lei che è un professionista di psicologia giuridica, ci può spiegare in che maniera ha impattato sul fenomeno dello stalking?
«Nel 2013 è stata ratificata in Italia la Convenzione di Istanbul, da cui poi, nel 2019, ne è derivata la legge n. 69, detta anche “Codice Rosso”. Potremmo considerarla come una corsia preferenziale per tutte quelle denunce nei casi di violenza domestica. Per quanto riguarda la fattispecie del reato di stalking, in base a questa legge, la pena detentiva è aumentata ad un massimo di 6 anni e 6 mesi. La Convenzione di Istanbul ha suggerito di leggere il fenomeno della violenza sulle donne in chiave globale considerando non solo la vittima di reato ma anche l’autore e le dinamiche alla base del fenomeno. Ciò ha portato ad istituire anche dei programmi volti al recupero di uomini maltrattanti, stalker e abusanti al fine di reintegrarli in società e ridurre il tasso di recidiva».
A proposito di uomini maltrattanti, stalker e abusanti, sappiamo che l’ICPG si occupa del recupero di tali soggetti: in cosa consiste il progetto?
«Il progetto nasce proprio dalla modifica dell’art.165, comma 4 del Codice Penale, e dall’art. 6 del Codice rosso che hanno spinto il Giudicante a promuovere il recupero del soggetto attraverso la partecipazione a programmi di trattamento nei quali sono previsti esercizi volti ad implementare la capacità empatica, di mentalizzazione, il riconoscimento dell’altro in quanto vittima e il riconoscimento della sua sofferenza. Si struttura attraverso una serie di interventi psicologici in cui si cerca di raggiungere, con il soggetto, gli obbiettivi preposti».