Senza vaccini l’economia non riparte. Serve una distribuzione equa e un utilizzo tempestivo delle risorse del Recovery Fund. Le aziende salernitane hanno grosse potenzialità di sviluppo ma senza adeguate infrastrutture e con una burocrazia a doppia maglia scontano forti limiti di competitività. Ad un mese e poco più dal suo insediamento alla Presidenza di Confindustria Salerno, Antonio Ferraioli fa un punto su tutte le questioni più importanti all’ordine del giorno. Presidente Ferraioli, cinquanta aziende salernitane sono pronte ad aprire i cancelli per le vaccinazioni. “Sì, è un dato importante che si pone come un punto di partenza, un incoraggiamento, affinché altre imprese ci seguano e, qualora ci fosse la necessità di avere ulteriori punti vaccinali sul territorio, diano la propria disponibilità. Ma una cosa sia chiara: servono i vaccini e in grossa quantità, altrimenti il nostro sforzo sarà reso vano. Senza vaccini l’economia non riparte”. Come e quanto le aziende salernitane hanno risentito della pandemia? “A Salerno e provincia, come nel resto del Paese, la pandemia ha inciso in maniera particolare sulle attività legate al commercio e al turismo, agli eventi, alla ristorazione e sulle intere filiere di questi settori, a monte e a valle. Ci sono anche comparti che hanno avuto un incremento di vendite e fatturato come l’agroalimentare e le aziende del packaging ad esso connesso. Abbiamo una mappatura disomogenea, in cui le ombre superano, purtroppo, di gran lunga le luci”. Di che cosa c’è bisogno per ripartire? “La ripartenza del nostro Paese è strettamente legata al piano nazionale per accedere al Recovery Fund. Servono fondi da investire nei settori strategici: infrastrutture, sanità, ricerca ma anche nella messa in sicurezza del nostro territorio da sempre a rischio idrogeologico. Ovviamente, una volta assicurato l’arrivo delle risorse, occorre un loro tempestivo utilizzo con progetti cantierabili e da realizzare in tempi certi”. Cosa serve alle imprese salernitane per competere sui mercati internazionali? “Notoriamente chi fa impresa al Sud vive condizioni di svantaggio rispetto alle altre aree del Paese. Manca una rete infrastrutturale adeguata. Basti pensare alle arterie stradali e ferroviarie, allo scalo aeroportuale, eterna promessa da vent’anni a questa parte. Fortunatamente c’è il porto che registra ottime performance ma che strutturalmente potrebbe essere potenziato. E poi esiste l’endemico gap della burocrazia, un vero e proprio labirinto di norme ed inefficienze amministrative che costituisce un limite anche per le pratiche più semplici. Se solo si iniziasse a mettere mano a questo si contribuirebbe non poco al rilancio del territorio”. Nella sua relazione di insediamento ha parlato di impresa come comunità, è un assioma non scontato. “L’azienda è un insieme di persone: azionisti, dipendenti, fornitori, clienti che hanno obiettivi comuni e che partecipano ad un processo condiviso di innovazione, ricerca, creazione di ricchezza, scoperta. Un sistema di valori che produce una “cultura” portatrice di benessere e coesione sociale. L’impresa ha una funzione sociale e l’imprenditore svolge anche una funzione etica sul territorio in cui opera, cosa non scontata ma sostanziale. Credo inoltre che la ricostruzione e la ripartenza del Paese siano anche una questione di responsabilità individuali”.
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