Nel 1980, per 270 milioni di lire, acquistò da un nobile il Castello Mediceo di Ottaviano, in provincia di Napoli, che divenne il simbolo della forza, della sua autorità. Il castello, nel 1991, gli venne confiscato diventando, successivamente, di proprietà del Comune. Era il camorrista per eccellenza Raffaele Cutolo, fondatore nonchè capo della Nuova Camorra Organizzata morto nel reparto sanitario del carcere di Parma, lo stesso dove spirò a fine 2017 Toto’ Riina, dopo una lunga malattia. Aveva 79 anni ed era il carcerato al 41bis piu’ anziano. Era detenuto, ininterrottamente dal 1979, dopo il suo arresto ad Albanella, in provincia di Salerno. Un anno prima era evaso in maniera clamorosa, a colpi di bombe, dall’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa (Caserta). Cutolo, non si è mai distaccato dalla mentalità camorristica, non ha mai voluto intraprendere un percorso di collaborazione con la giustizia ed è sempre rimasto fedele alle sue convinzioni. Sulla sua vita sono stati scritti miriadi di articoli, libri e sono stati anche girati dei film. Don Raffaele rilasciò delle dichiarazioni agli inquirenti della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli (il pm Ida Teresi e il capo della Dda dell’epoca, Giuseppe Borrelli, attuale procuratore a Salerno) rivelando di avere avuto addirittura la possibilità di impedire l’omicidio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse. Furono parole “pesanti” quelle pronunciate dal professore, messe a verbale il 25 ottobre del 2016: “Potevo salvare Moro ma fui fermato. Aiutai l’assessore Cirillo (rapito e successivamente rilasciato dalle Br, ndr), potevo fare lo stesso con lo statista. Ma i politici mi dissero di non intromettermi”. Nel ’78 Cutolo era latitante e si sarebbe fatto avanti per cercare, sostiene lui, di salvare Moro. “Per Ciro Cirillo si mossero tutti, per Aldo Moro nessuno, per lui i politici mi dissero di fermarmi, che a loro Moro non interessava”. |”Con la morte di Cutolo – commenta Ciro Auricchio, segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria USPP – si chiude una delle pagine più buie delle carceri italiane: l’uccisione del vice direttore della casa circondariale di Napoli Poggioreale Giuseppe Salvia, a cui oggi è in intitolato l’istituto di pena, assassinato a Napoli nell’aprile del 1981 perchè non voleva rispettare le “regole”“.
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