Corrado Augias ha sigillato aureamente la rassegna di “Drammaturgia contemporanea” con lo spettacolo “O patria mia”
Di GEMMA CRISCUOLI
“Sono passati duecentoventi anni dalla sua nascita ma noi siamo ancora lì, nella foto che Giacomo ci ha scattato”. Le parole accarezzate, misurate ma mai grigie di Corrado Augias, che ha chiuso la rassegna di “Drammaturgia Contemporanea”, hanno guidato il pubblico del Teatro Verdi lungo il percorso umano e poetico di uno dei più grandi autori di tutti i tempi nello spettacolo “O patria mia-Leopardi e l’Italia” per la regia di Angelo Generali. Con una chitarra del XIX secolo, Stefano Albarello ha eseguito dal vivo “En medio a mis colores” di Rossini, ricordando come “Il Turco in Italia” fosse la prima opera che folgorò il giovane scrittore, tanto da indurlo alle lacrime. Ha poi suonato e cantato il più antico stornello romano a noi giunto, alludendo al senso di prigionia che suscitò in Leopardi la Chiesa, “Una furtiva lagrima” a corredo del mondo di sentimenti attorno a Silvia e a Nerina, né poteva mancare la prima versione dell’inno di Mameli, per concludere con “Fenesta ca’ lucive”. Il nostro sapeva che amare una patria non è semplice, specialmente se si è di fronte a qualcosa di improbabile come nel Bel Paese: quel “divertimento scompagnato da ogni fatica dell’animo”, la stessa fatuità nel passeggiare, andare a messa, assistere a una rappresentazione, il non possedere costumi ma usanze. Le opinioni modellano i costumi che sono regolati dalle leggi, ma, ricorda Augias, “Dove questa catena non è rispettata, una legge nasce sul vuoto ed è puntualmente inefficace”. La tendenza tutta italica alla prostrazione è dannosa ieri come oggi e offre occasione per riflettere sull’attualità: “Avremmo dovuto essere meno entusiasti dinanzi all’entrata in vigore dell’euro così some dovremmo essere meno depressi oggi, dato che l’abbandono della moneta unica sarebbe per noi rovinoso”. Che inviti ad avere “pietà di questa bellissima terra” o ne colga le molte pecche, Leopardi, che trova nell’immaginazione il vero rifugio dell’uomo sensibile, colpisce comunque nella sua implacabile lucidità, sia quando descrive il deserto spirituale di sua madre (“un carattere sensibilissimo ridotto così dalla religione”), sia quando ricorda la corruzione del clero (“il cardinale Malvasia mette le mani in petto alle dame e condanna all’Inquisizione i mariti di quelle che si ribellano”). Emerge anche la solitudine del padre Monaldo, che teme di perdere i figli per le muove prospettive aperte dal contatto con Pietro Giordani. Chi è fuori dal coro è sempre osservato con sospetto. “Come comportarci con le dottrine e le regole che ci circondano?” si chiede Augias. Il recanatese saprebbe cosa rispondere: non sacrificare a nessun codice la libertà dello spirito.