Questa sera, alle ore 20, il duomo di Salerno ospiterà l’esecuzione dell’opera, proposta dall’Orchestra Sinfonica di Salerno
Di OLGA CHIEFFI
Manca dal 2002, il Requiem di Wolfgang Amadeus Mozart a Salerno, da quando Nicola Luisotti, lasciò il timone del teatro Verdi a Giandomenico Vaccari, sulle note di quest’ opera circondata da un’aura di mistero, di tragedia, di complotto, di destino, che l’ha proiettata subito e per sempre nella dimensione del mito. Questa sera, l’appuntamento con la grande incompiuta mozartiana è alle ore 20, nella Cattedrale di Salerno. A cimentarsi con questo complesso capolavoro, sarà l’Orchestra Sinfonica di Salerno Claudio Abbado, che sosterrà due formazioni di cantori, l’Hirpini Cantores ed il Lab, preparate rispettivamente da Carmine D’Ambola e Katja Moscato, mentre i solisti saranno il soprano Annalisa D’Agosto, il mezzosoprano Beatrice Amato, il tenore Orazio Taglialatela Scafati e il basso Nicola Ciancio, sotto la direzione di Ivan Antonio. Il Requiem è l’ultima pietra dell’immenso edificio dell’opera mozartiana: elevato, maturo, compiuto nella sua incompiutezza, sorretto dalla sicurezza di esperienze direttamente vissute, appare affine al profondo sentire bachiano. Pur rispettando tutte le esigenze liturgiche, esso trascende ogni limitazione dogmatica per esprimersi quale personale atto di fede alla soglia della morte. Mozart attua qui la fiducia nel credo massonico, comunicandoci la fiducia della redenzione, attraverso l’amore inestinguibile per un mondo migliore. L’esegesi puritana di sfrondare i sedimenti estranei e riportare in vita soltanto il verbo mozartiano, si rivela presto trovata do stampo sofistico, sensibile alla suggestione evocativa, dal momento che già dal Kyrie, l’originale nudo e crudo è incompiuto e ineseguibile. Il requiem, trattato sulla morte concepito in articulo mortis dal più psicologico e sensibile dei compositori, ci giunge oggi come un blocco unitario e indivisibile, arcaico e insieme, fuori dal tempo. Arcaico nella gran copia di contrappunto, nei raddoppi dell’orchestra alla maniera antica, assenza di vere e proprie arie, forse per togliere ogni sorta di commentario flemmatico alla crudezza del Giorno dell’ Ira. Mozart guarda indietro, certo ad Handel, a Johann Michael Haydn, ma guarda avanti, dentro di sé e dentro la propria morte. E’ asciutto, tagliente, sintetico, primitivo, come un frammento di Saffo e ci si accorge che lo stesso Requiem, di fatto, non è che un frammento. Il brano iniziale introduce, nella sua profonda drammaticità, un clima di cupezza e introspezione, senz’altro alimentato dall’uso della tonalità d’impianto di re minore, che nel lessico mozartiano reca sempre con sé un orizzonte ombroso. Teatrale è l’attacco, ora in tempo Allegro, e a piena orchestra, della monumentale fuga che dà corpo al successivo Kyrie, che ha la particolarità “antiaccademica” di far precedere la risposta dei soprani al soggetto esposto dai bassi e al controsoggetto dei contralti. Tale persistenza nella regione del re minore dà vita al maggior colpo di teatro di questa partitura, laddove la coda del Kyrie si unisce quasi senza soluzione di continuità al primo dei sei numeri della Sequenza, il “Dies irae”, ancora in re minore. Qui si assiste a un’esplosione di terribilità che non è improprio definire “espressionistica”: il ritmo è ossessivo e sottoposto a processi di diminuzione vieppiù incalzanti, le dinamiche sono tutte vergate nel registro del forte, trombe e timpani raffigurante il Dio judex est venturus. Il suono imponente di un trombone tenore, ripreso dalla voce del basso, simboleggia il segnale che raccoglierà tutti di fronte a Cristo. Ecco dunque il secondo numero della Sequenza, il “Tuba mirum”, che viene poi replicato all’interno del terzo numero di essa, il “Rex tremendae”, in sol minore. Qui l’invocazione omoritmica delle voci del coro al Rex è seguita dalla infinita dolcezza dell’uomo che si rivolge a questo Dio per domandargli “salva me, fons pietatis”. Si passa, quindi, in fa maggiore, all’intreccio delle quattro voci soliste che dà vita al “Recordare”, un momento di stasi destinato a preparare un nuovo climax: quello che ha luogo nel successivo “Confutatis”, in la minore, dove il ritmo vorticoso e violento dell’orchestra accompagna le voci virili mentre rappresentano le fiamme del giudizio divino. L’ultimo numero della Sequenza, il “Lacrimosa”, è il brano di cui Mozart compose solo le prime otto battute: quanto basta, a ogni modo, per conferirgli il suo carattere espressivo. I due numeri dell’ Offertorium, il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei, meno convenzionali di quanto non si sia detto, sono scritti da Süßmayr, il quale termina con un Communio nel quale si riascoltano ciclicamente i materiali dell’ Introitus e del Kyrie, come pare avesse prescritto oralmente lo stesso compositore salisburghese sul letto di morte.