Turchi: vini, settore in crisi - Le Cronache Attualità
Attualità Campania

Turchi: vini, settore in crisi

Turchi: vini, settore in crisi

di Erika Noschese

 

 

Il settore relativo alla produzione dei vini sta una fase di profonda crisi causata sia dalla sovrapproduzione, sia dal calo evidente dei consumi. A ciò si aggiunge l’allarme Dazi che, giorno dopo giorno, diventa sempre più concreto. A fare il punto della situazione Alessandro Turchi, produttore di vino a Salerno con il suo Rosso di Turchi, per dieci anni preside Istituto Professionale per l’Agricoltura e già membro del consiglio di Amministrazione di Crea, Centro Ricerca Agricoltura della Regione Campania.

Settore della produzione dei vini in crisi. Cosa accade?

«Lo possiamo dire chiaramente, il settore sta attraversando una fase di profonda crisi causata sia dalla sovrapproduzione, sia dal calo evidente dei consumi, che si registra soprattutto da noi, in Europa, soprattutto nelle nuove generazioni. Ma non è tutto, ci sono anche altri fattori, dal cambiamento climatico, che influenza negativamente la quantità e la qualità dell’uva, alle abitudini al consumo, certamente cambiate nel tempo. Pare evidente che le nuove generazioni preferiscono spesso birra e soft drink, con il vino che viene percepito come poco accessibile, quasi una bevanda per specialisti.  Nello stesso tempo i prezzi aumentano perché aumentano i costi di produzione, a causa dell’’incremento dei prezzi delle materie prime e dell’energia. E poi ci si sono messi anche i dazi».

Già, i dazi, un allarme concreto? Con quali conseguenze?

«Sì, l’allarme è concreto e le conseguenze dei dazi americani sul settore vinicolo italiano sono da considerare molto importanti. L’Unione Italiana Vini (UIV) ha stimato che il dazio del 15% causerà un danno di oltre 300 milioni di euro alle esportazioni di vino italiano verso gli Stati Uniti. Cifre allarmanti perché gli USA, per noi italiani, sono un mercato cruciale, il principale mercato di destinazione per le esportazioni di vino, si pensi che per molte aziende, specialmente le piccole e medie, le vendite negli Stati Uniti costituiscono una parte consistente del fatturato».

L’introduzione di dazi del 15% sulle esportazioni di vino verso gli Stati Uniti quali  conseguenze porteranno?

«Come detto le conseguenze saranno importanti, i dazi faranno lievitare il prezzo finale della bottiglia per il consumatore americano e questo renderà il nostro vino meno competitivo rispetto a quello di Paesi non soggetti ai dazi, come Australia, Cile o Argentina, e a quello prodotto negli stessi Stati Uniti. Ci sono alcuni nostri vini molto popolari negli Stati Uniti, su fasce di prezzo medio basse, che subiranno aumenti che ne limiteranno il consumo. E poi i dazi provocano un clima di incertezza che rende difficile per i produttori pianificare investimenti e strategie di lungo periodo. Insomma, una situazione decisamente negativa».

Quali iniziative da mettere in campo?

«Certamente per superare le attuali difficoltà e quelle che verranno, il settore vinicolo dovrà mettere in campo una serie di iniziative su vari fronti, il primo dei quali è l’innovazione, creando nuovi prodotti che rispondano ai gusti emergenti, penso ai vini a bassa gradazione alcolica, oltre a quelli biologici, biodinamici o “naturali”. Questo significherà anche adottare pratiche agricole più attente ai cambiamenti climatici, scegliendo vitigni più resistenti. Si dovrà investire in efficienza e sostenibilità, riducendo i costi e l’impatto ambientale, utilizzando anche energie rinnovabili, sistemi di recupero dell’acqua e l’ottimizzazione dei processi di cantina. Da tenere presente, poi, la necessità di maggiori investimenti nel marketing e nella comunicazione, nel tentativo di promuovere ulteriormente il “brand Italia” in una collaborazione fra produttori che è inevitabile».

Questa crisi rischia di toccare anche la provincia di Salerno?

«I rischi che incombono sul settore vinicolo nazionale si traducono in minacce concrete e specifiche per la provincia di Salerno, che, a causa delle sue peculiarità, li percepisce in modo amplificato. I rischi globali non risparmieranno, infatti,  la nostra provincia, ma l’impatto sarà selettivo e non riguarderà tutti. Questo perché ci sono alcune vulnerabilità, che risiedono nella frammentazione strutturale e nel divario di competenze, che limitano la capacità di risposta alle crisi di mercato e alle sfide climatiche. La formazione, come vediamo,  assumerà sempre più importanza, e lo posso affermare per esperienza diretta, avendo diretto una scuola che si occupava, proprio, di formare giovani esperti del settore. Da dire poi che il territorio salernitano possiede un patrimonio vitivinicolo autoctono con una naturale adattabilità al clima, una solida rete agroalimentare e una crescente vocazione turistica e questi sono punti di forza per combattere la crisi attuale».

⁠Quali altre difficoltà vive il settore?

«La filiera vinicola salernitana è composta principalmente da piccole realtà. Secondo la Camera di Commercio di Salerno su un campione di 31 aziende il 58,2% di esse sono ditte individuali e il 42,3% possiede tra i 5 e i 10 ettari di vigneto. Questa forte frammentazione rende difficoltosa l’adozione di strategie collettive, ma rende complicate anche  la negoziazione con la grande distribuzione e gli investimenti in innovazione su larga scala. Un trend che espone il settore a rischi maggiori in un mercato sempre più orientato alla qualità e alla differenziazione. A queste difficoltà, prettamente salernitane si dovrà rispondere con l’attivazione di strategie di crescita che valorizzino le risorse intrinseche del territorio, con lo stesso enoturismo e con la digitalizzazione, che  si configurano come le leve più promettenti per la filiera salernitana».