Dall’uragano alla solarità mediterranea - Le Cronache Attualità

di Vito Pinto

Via Pasitea nr.151 a Positano è una graziosa porta, che si ritaglia uno spazio verde marino su un muro bianco. Oltre è un appartamento non grande, dove la luce la fa da padrona e il sole ottobrino ha il dolce sapore dell’amore. Pareti bianche alle quali, tra l’altro, sono appesi alcuni dipinti di Edna Lewis, Peter Ruta, Bob Miller, Ed Witstein. Dal soffitto, al posto del lampadario, pende un “tuffatore” di Paolo Sandulli. Un terrazzino affaccia sulla cala di Fornillo e su quella torre pentagonale che fu tormento ed estasi per Gilbert Clavel, svizzero di vaste culture ed interessi che la trasformò e vi ospitò illustri personaggi che in quegli anni Venti del Novecento giungevano a Positano, eredi di un mai interrotto Grande Tour, in cerca, spesso, di un rifugio dalla storia. In questa casa di luce mediterranea vi hanno abitato sia la Lewis che Ruta ed oggi, Enzo Esposito, uomo di saperi e sapori, manager di tanti artisti che invita a soggiornare nella città costiera; una passione che coltiva da anni, quando invitò Peter Ruta, una passione che lo porta alla ricerca ed acquisizione di dipinti e disegni di questa “città romantica” come ebbe a definirla Luca Vespoli, giornalista e uomo di grande umanità. Oggi, ospite di Esposito, è Vicente Hernàndez, pittore cubano che ormai, dopo cinque anni, non può più fare a meno di Positano, di questa luce mediterranea, affascinante e affabulante che lo coinvolge e lo trasporta su lidi altrove del suo modo di dipingere cubano. Sul cavalletto, infatti, Vicente ha una tela rappresentante la Chiesetta di Santa Caterina, fondale di scena di questa strada in pendenza, che sta completando con tocchi cromatici stesi con una spatolina: sarà donata al Comune a ricordo del suo passaggio in quest’ansa di costa montuosamente marina. «Quando viene a Positano il suo animo si accende, tutto lo ispira. Dipingere è la sua vita» dice la moglie Jacqueline Carvajal Artiles, storica e critica dell’arte. D’altra parte Vicente non ha mai fatto mistero che ama Positano perché la sente molto vicina al suo habitat cubano, di costa e di pescatori, alla sua Batabanò, piccola città, un pueblo pequeño, come si dice da quelle parti. Solo che su quel mare caraibico spesso impazzano gli uragani con le loro distruzioni, mentre qui a Positano Hernàndez ha incontrato la luce. Ed è il cambiamento, la mutazione d’arte, la crescita personale in quel suo mondo di pittura dove le rappresentazioni sono così vicine all’animo dell’artista. E sono i velieri volanti, le astronavi immaginifiche che volteggiano su cieli italiani, in specie di questa Costiera dove non pochi artisti hanno fatto tappa nel corso dei decenni. Si ricorderà l’Art Work Shop di Edna Lewis che, dai primi anni ’50, fu la sirena ammaliatrice di scrittori, registi, attori, artisti di vario sentire. Erano gli anni degli scrittori John Steinbeck e di Tennessee Williams, di artisti come Redy Morgan, Sigmund Politzen, Peter Thomas, Ibrahim Kodra e degli italiani Antonello Marinucci, Roberto Scielzo, Giuseppe Di Lieto, Lorenzo Tornabuoni. Erano gli anni in cui Valy Mayers, ballerina australiana, con il compagno Rudi Rapold prendevano possesso della Casina del Principe nell’alto Vallone Porto per una difesa senza incertezze: erano gli ultimi esistenzialisti, che hanno lasciato il compito in eredità a Gianni Menichetti, il quale ancora abita in quella Casina in alto. Vicente Hernàndez ben si collosa in questa sorta di “gotha” positanese per sua natura e per sua caratura. Ricora che la sua casa cubana, dove da piccolo ha abitato, era luogo di riunioni di amici e familiari, abituandolo alla frequentazione. E sin dagli anni di studi all’Istituto Superiore di Pedagogia di L’Avana, Hernàndez ha avuto contatti con uomini d’arte e di lettere, così che la sua arte a lungo è stata influenzata dall’atmosfera culturale che si respirava nella Facoltà, dal gruppo di artisti della sua città e dal sostegno che riceveva da quelli della sua provincia. Ultimo viaggiatore di un mai smesso Italienische Reise, Vicente Hernàndez giunge a Positano per la prima volta nel 2019 su invito di Enzo Esposito che lo aveva conosciuto a L’Avana durante una cena. Ed è l’inizio di una metamorfosi, di quel passaggio di rappresentazioni che lo trasporta dal buio alla luce, in un viaggio senza tempo dove persistono gli immaginati navigli, et simila, volanti presi dai vortici dell’uragano, ma che cominciano a spaziare in cieli più sereni, sovrastanti i luoghi mediterranei, anzi tirrenici come Amalfi, Atrani, Positano. «Un uomo si sente più libero quando viene in Europa» dice Hernàndez allungando lo sguardo oltre il terrazzino, su quell’orizzonte senza linea che sfuma la sua esistenza nella foschia dell’acqua in calda ascensione verso il cielo. Una immaginifica sensazione che ti prende, coinvolge in un turbine di emozioni. Ed Hernàndez se ne è accorto da subito e, non certo dimenticando il suo trascorso d’arte, evolve con garbo il suo sentire d’arte che capta il circostante, il mutare delle stagioni, l’alternarsi degli scenari nelle varie ore del giorno. «Ho dipinto quest’angolo di costa con la Torre al mattino, al tramonto e di sera». Così come mutano i luoghi delle sue “scorribande” tra Paesi americani, caraibici ed europei. Hernàndez continua a colloquiare per immagini ponendo il visitatore delle sue scene nella condizione di meditare. E’ un pittore che “dipinge ad alta voce” a richiamo di Rony Piñera autore di una monografia su Vicente; e scrive che il suo sguardo «cattura tutto il possibile che può tradurre in pittura, in quel linguaggio muto dove le parole possono essere più forti, a volte, dello stesso discorso, un labirinto visivo che, nel tempo, ha raggiunto un posto importante nella pittura cubana». La sua pittura resta ferma al reale, sia nella prima “vita artistica” cubana e sia in quella attuale dove entra il cielo italiano, anzi meridionale dove il Mediterraneo è. Scrive Massimo Bignardi a commento di una personale positanese: «Un pittore nel vero senso della parola, aperto a linguaggi attuali; una pittura, la sua, che affonda le radici nella cultura artistica caraibica, nell’amalgama di una figurazione sorretta sia da una sorta di realismo reso dalla visione accorta a non tralasciare i dettagli anche più ingenui della narrazione». Impostosi in collezioni private e pubbliche, soprattutto statunitensi e spagnole, Vicente Hernàndez si colloca in questo pantheon della cultura dalle varie arti con i suoi dipinti, opere di un animo in progres. E se un artista non si evolve, quale messaggio può lanciare da oggi all’infinito? L’immutabilità è solo per chi esaurisce la sua voglia di pensare, ideare, meravigliarsi di ciò che lo circonda, ovunque si trovi.Atrani è sovrastata da uno Zeppelin, su Positano incombe una nave con la polena a cavallo alato di Amalfi il cui Duomo fa capolino tra le vele quadrate gonfie del vento tirrenico. Ed è tutta una storia che si riversa in queste tele, due mondi che si fondono senza confondersi a sublimazione d’arte. Vicente lancia lo sguardo nella solarità mediterranea, poi con un sorriso appena accennato dice: «In questo periodo a Cuba ci sono gli uragani».

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