di Oreste Mottola
La statua Diana, il cane da caccia di re Carlo Borbone, opera attribuita a Canova, situata all’interno del Palazzo Reale di Persano, è una delle meraviglie del salernitano. Lo è stata ancora di più quando gli occhi del mastino napoletano incantavano gli osservatori per via dei rubini che erano stati inseriti dall’autore al posto degli occhi. Per il peso e l’imponenza, e per essere ben incardinata nello scalone, l’opera non è stata rubata, come è avvento a tante altre del complesso. Mancano però i rubini che rendevano assai suggestiva Diana. Testimonianze raccontano che fin agli anni dell’ultima guerra mondiale tutto era al suo posto.
Dopo no, ci si accorse del furto perpetrato. Nel settembre del 1943 a Persano successe di tutto, base dell’esercito italiano, fu occupata dai tedeschi per meglio resistere a quella operazione “Avalanche” che partiva dalla vicina Paestum. Nella confusione del dopoguerra nessuno poi pensò agli occhi speciale di Diana che non c’erano più. Qualche soldato li aveva trasformati in souvenir?
Mistero tra i misteri. Lo scenario è già da film, vi ricordate “Ferdinando e Carolina” della Wertmuller? Ci si fermò anche Eisenhower, che bevve l’acqua miracolosa del Pozzillo, sorgente locale, quella che aiuta le carriere, e che così benedisse anche lui, che di lì a qualche anno, diventa addirittura presidente degli Stati Uniti. “Caccia di Ferdinando IV a Persano”, è di J.P. Hackert, pittore di origine olandese ma poi naturalizzato napoletano. Non celebra solo la passione venatoria di quel Re, ma mostra come quell’attività potesse essere non solo un motivo di svago ma anche di incontri mondani, galanti e politici. Reali, artisti e politici, in pratica i vip del Settecento europeo passarono per queste terre: lo scrittore Goethe, lo zar delle Russie, il Metternich e Hackert. A un certo punto il Re pensò addirittura a una nuova città dove trasferire molte attività direzionali. Già nel 1799 c’è già la prima “invasione” popolare delle terre del Re, che oltre a Persano si estendevano anche a Altavilla, Serre, Postiglione e Controne. Le repliche dei moti contadini le vedremo nel 1920, nel 1947 e nel 1977-79, quando da queste parti ci fu l’ultima lotta per la terra conosciuta in Italia e contemporaneamente nasceva la prima area naturale protetta del Sud.
Tante storie, soprattutto di coloro che qui avevano dovuto svolgere gran parte del servizio militare quando era obbligatorio. Alessandro Haber, l’attore, racconta come si divertisse a sfidare i suoi ufficiali nella marcia dove era particolarmente portato fino a sfiancare i concorrenti. Persano terra di bufale e cavalli, sapendo bene che in quelle terre acquitrinose della piana di Paestum il cavallo e la bufala si sono sempre divise il ciuffo d’erba. Il tema ha anche ispirato lo scrittore Domenico Notari Domenico Notari ha messo per iscritto “Un monumento alla fedeltà” un racconto che si svolge nella Real Casina di Caccia, al cui progetto, partecipò anche Luigi Vanvitelli. La narrazione prende ispirazione dalla statua della cagnolona che domina lo scalone della reggia, Diana guardiana del re Ferdinando IV. Dove trovare nel mondo nobiltà senza arroganza, amicizia che non sia gelosa, bellezza senza vanità? Nel cane la grazia si accompagna alla potenza e la forza si fa dolcezza, se la sua lotta è lealtà, la sua fedeltà non sarà mai schiavitù. Diana si sacrificò contro un cinghiale per salvare il piccolo Francesco “Franceschiello” e il padrone Ferdinando la fece eternare a guardia della sua “casa”, dal Canova, come Giuseppe Verdi e il suo mastino Black o il maltese Loulou, che ha il suo cippo nella tenuta di Sant’Agata e aveva il suo posto fisso sotto il tabarro del nostro compositore, per partecipare da ospite d’onore alla prima della Scala, e i suoi amatissimi cani da caccia, Yvette e Moschino.
Diana si trasformò presto in fantasma per le ossa trafugate dalla sua piccola tomba nel parco, tenendo sveglia la popolazione di Serre, coi suoi disperati latrati, il 10 di ogni mese, fin quando, un ingegnere della Regia camera, arrivato da Napoli per restaurare la chiesa di San Martino, scavando trovò le ossa di Diana, la quale, una volta rimesse sotto la lapide, finalmente avendo trovato pace guaì di gioia quella notte del 10 settembre del 1847 e scomparve per sempre riposando nella terra che aveva calpestato accanto al suo Ferdinando.