Vladimir, Ursula, Giorgia, Flotilla. Poi vince il popolo - Le Cronache Attualità
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Vladimir, Ursula, Giorgia, Flotilla. Poi vince il popolo

Vladimir, Ursula, Giorgia, Flotilla. Poi vince il popolo

di Aldo Primicerio

Questa settimana le abbiamo viste tutte. La vulnerabilità dell’economia russa. La pressione delle sanzioni ma anche la loro grande illusione. La splendida follia della Flotilla con i suoi 400 arrestati deportati ma già in odore di espulsione e di rimpatrio. L’espediente di Giorgia Meloni e di Matteo Salvini che s’illudono di trasformare uno sciopero nazionale in un weekend lungo. Ed alla fine il popolo italiano, che inonda le strade e vince su tutti. Dio mio che valanga di eventi!

La fragilità dell’economia russa, l’imminente 19° pacchetto di misure. Ma anche la grande illusione delle sanzioni

Tre anni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la guerra sembra infatti restare ancora lontana da una tregua. Solo il sostegno militare e finanziario dell’Ue all’avanzata dell’esercito ucraino, insieme con l’inasprimento delle sanzioni economiche, potrebbe costringere Putin ad accettare un accordo di pace. Ma – lo precisa anche l’ importante rivista online Affari Internazionali – serve il sostegno degli Stati Uniti per trasformare questa fragilità in leva politica. Ce ne saremo accorti, Trump ha intanto accuratamente evitato di introdurre nuove sanzioni contro Mosca, nonostante le sollecitazioni delle capitali europee. Il cuore delle nuove misure Ue resta il settore energetico e, in particolare, il controllo sul trasporto marittimo del petrolio russo. Il pacchetto include nella lista nera della cosiddetta “flotta ombra” altre 118 petroliere (il totale è 560) con l’obiettivo di ostacolare le triangolazioni che consentono a Mosca di aggirare i divieti. Ma il monitoraggio dei flussi marittimi si conferma complesso e i dati dimostrano che l’impatto delle sanzioni è molto più efficace quando vi è piena coordinazione tra Stati Uniti e Ue. Il nodo centrale resta comunque l’energia. Il mito di una Russia capace di sostenere indefinitamente una “guerra eterna” non trova conferma nei dati economici. Le spese militari senza limiti e la dipendenza dai proventi energetici rendono Mosca vulnerabile a shock esterni e all’efficacia delle sanzioni. Queste ultime non costituiscono certo una soluzione definitiva, ma restano un passaggio essenziale per spingere Putin a riconsiderare la prosecuzione del conflitto.

Eppure, i grandi avvocati internazionalisti sembrano smontare le certezze di un Putin pronto al disarmo. Anzi, fu proprio lo zar Vladimir a profetizzare che le sanzioni occidentali si sarebbero rivelate un boomerang devastante per l’Europa, mentre la Russia avrebbe dimostrato una resilienza economica ben superiore alle aspettative dei strateghi di Bruxelles. E tutto questo è confermato da una clamorosa marcia indietro dell’Economist. Il prestigioso settimanale britannico aveva infatti gridato ai 4 venti l’imminente resa di Putin, facendo poi sorprendentemente autocritica ed ammettendo il suo errore di valutazione. L’Ue infatti ha costruito un complesso sistema di restrizioni che, paradossalmente, ha finito per danneggiare più chi le impone che il soggetto destinatario. Lo stesso Putin aveva previsto che l’abbandono precipitoso delle fonti energetiche tradizionali avrebbe reso l’Europa vulnerabile e dipendente, innescando un processo di desertificazione industriale che sta letteralmente smantellando il tessuto produttivo europeo. Il green deal europeo e la transizione energetica restano obiettivi validissimi e condivisibili. Ma la von der Leyen ha commesso il grave errore di accelerarlo troppo, scoprendo le debolezze del nostro sistema industriale.

Lo scossone della Flotilla al sistema italiano ed europeo. Incompreso dalla politica, ma non dai cittadini

Sul folle coraggio degli attivisti si sono già spese troppe parole. Ed anche su alcune loro motivazioni sbagliate e non condivise. Ma alla fine hanno avuto ragione e raggiunto il loro obiettivo. Che non era quello di portare aiuti umanitari. E qui il cardinale Pizzaballa ha mostrato di non aver capito. Ed anche il nostro Presidente Mattarella – che non sbaglia mai una parola, una frase, un gesto, una virgola – ha preferito rimanere alla superficie del gesto, invitando “questa gente per bene” a desistere, arrestando la loro iniziativa. L’obiettivo di Flotilla non era quello, banale, di portare aiuti umanitari. Non era possibile con quelle barchette da turismo.  Era piuttosto quello di scuotere il mondo dal torpido grigiore della retorica dei politici (anche dei partiti di opposizione come Pd e 5Stelle) e dei media, e di svegliarlo dal senso di colpa per il secolare antiebraismo e dal timore di inquinare i ricchi interessi commerciali con Israele. Due, a nostro parere, i grandi risultati della Flotilla, forse da loro stessi vagheggiato ma mai completamente radicato.

Il primo, quello di mostrare al mondo intero che la società civile è molto più avanti della politica. E’ così, purtroppo, quando una presidente ed un vice-presidente del Consiglio si lasciano andare ad una frase come “Il weekend lungo e la rivoluzione non stanno insieme”. Una frase che equivale a ridurre uno sciopero di milioni di cittadini ad un mero espediente per prolungare il fine settimana. Una frase stupida ed incomprensibile, perché espressa da due politici in fondo intelligenti. Eppure un insulto, un oltraggio. Una ridicola banalizzazione con cui si vuole declassare un gesto politico, sottraendogli la sua carica di denuncia e la sua portata simbolica.

Il secondo risultato, andando oltre i nostri confini geografici, quello di riscoprire un’Europa di valori e non solo di mediatrice di interessi. E, va detto, mettendo a nudo la inconcludenza e la inadeguatezza di Ursula von der Leyen a ricoprire un ruolo così delicato, complesso, difficile. Nel suo spettacolo Il Sogno, lo ricordate?, Benigni definì l’Europa la più grande costruzione istituzionale degli ultimi 5mila anni. Una delle proverbiali “esagerazioni” del Nobel Roberto, ma con un efficace fondo di verità. Che in fondo, però, giustifica e valorizza il folle grande gesto di Flotilla e lo sciopero di venerdì voluto dalla sola Cgil. Due strilli di disperazione, due gridi di indignazione. Contro il genocidio di uomini donne e bambini inermi a Gaza, e contro la vile aggressione russa in Ucraina. Ma anche un gesto di rottura. Che segna la distanza tra chi governa, qui e dovunque, e chi, come il popolo, non accetta di subire i crimini internazionali, e di veder deformate le ragioni di una protesta e svalorizzata l’idea di coscienza civile. Chi scende in piazza non fugge dal lavoro, non tradisce il suo dovere. Ma lotta per il diritto calpestato, per l’etica ignorata, e per l’umanità violentata. E dovrà farlo anche contro il riarmo. E contro un conflitto che potrebbe ridurre in polvere il pianeta Terra.