Quelle due palazzine furono donate dall’allora presidente dell’orfanotrofio di Salerno, Alfonso Menna. Ora sono oggetto di un contenzioso giudiziario tra la proprietà e gli inquilini. Sarebbero servite ad accogliere le famiglie che nell’alluvione del 1954 persero tutto; furono tirate su grazie alle donazioni degli americani e di un ex ospite dell’orfanotrofio stesso. Ora, a distanza di 59 anni si sentono “violentati” nella loro piccola storia personale. Sono i nuclei familiari che abitano in via Martiri Ungheresi ai civici 58 e 60. C’è chi lì ci è nato, chi invece è andato ad abitarci già grande. Ma lì ognuno di loro ha la propria storia, una storia che il proprietario delle palazzine ora vorrebbe cancellare tra tentativi di abbattimento fittizi e presunti abusivismi da parte dei regolari affittuari dei 14 appartamenti. Questa storia comincia agli inizi degli anni ‘80, quando, una volta dismesso l’orfanotrofio Umberto I, il Comune decise di vendere le proprietà che erano dell’Ente, senza darne nemmeno comunicazione a coloro che lì abitavano. Tra queste, nonostante il vincolo sociale, perché dato alle famiglie alluvionate, c’erano anche i due piccoli stabili di Pastena, acquistati dall’imprenditore battipagliese Gennaro Lanzetta. Loro, gli abitanti dei palazzi, non sapevano nulla della vendita dell’epoca, altrimenti dicono «ci saremmo comprati le nostre case, ma ci tennero allo scuro». Di lì, la vertenza tra Lanzetta e il Comune, per un ripensamento dell’imprenditore sull’acquisto, poi i progetti di riqualificazione dell’area voluti dall’attuale sindaco Vincenzo De Luca, tra cui rientrano anche le casette di via Martiri Ungheresi. Una ristrutturazione che, a quanto pare, il proprietario Lanzetta ha ben presto trasformato in abbattimento degli stabili, con buona pace degli inquilini. La scorsa estate si ritrovarono, dopo una bella lettera di sfratto (per la quale ora sono in giudizio contro il proprietario, grazie al lavoro degli avvocati Fabrizio Salvati e Alfonso Giordano) operai a smantellare l’appartamento sfitto al terzo piano della palazzina del civico 60 e a cercare di rompere il solaio e parte della tettoia esterna, il tutto, dicono, per giustificare l’abbattimento degli stabili cagionandone l’inagibilità. Interventi dei carabinieri e della polizia municipale hanno fermato lo smantellamento, ma oggi si vedono i risultati di quegli interventi di distruzione. Infiltrazioni d’acqua negli altri appartamenti causate proprio dallo smantellamento di quelli soprastanti. E pensare che in questi stabili vivono tre disabili al 100%, uno dei quali, alla luce della situazione creatasi non ha fatto nemmeno richiesta del montascale per raggiungere, con la sua sedia, la propria abitazione al terzo piano. Senza contare l’impalcatura “d’artista” presente da oltre un anno per lavori di messa in sicurezza mai cominciati.
«Vogliamo che i nostri diritti vengano difesi – dicono Guerino Memoli, Pasquale DeRosa, Egidio Bernardis, Raffaele Marotta facendosi portavoce anche degli altri inquilini – Questa persona ci sta violentando l’anima, cercando i modi più subdoli per farci uscire da queste case. Ma non ci riuscirà». Certo, è vero, le palazzine hanno bisogno di una messa a punto, ma «non si è mai visto che per una ristrutturazione si butti la gente fuori di casa – continuano – Nel palazzo di fronte c’è stata una ristrutturazione totale, ma gli inquilini sono rimasti al proprio posto per tuto il periodo dei lavori. Non sappiamo cosa abbiamo fatto a questa persona che sta tentando in tutti i modi di metterci alla porta. Adesso, ad alcuni mesi di distanza dall’opera di distruzione degli appartamenti, stiamo subendo le conseguenze vivendo in ambienti umidi. Al di là dell’ingiustizia che abbiamo subito vogliamo solo essere rispettati».