di Olga Chieffi
Difficile immaginare un dialogo più semplice nella nostra lingua. Il saluto è un rito linguistico estremamente radicato, tanto che si è conservato come uno degli elementi più solidi anche nelle forme di comunicazione più recenti, come quella che avviene via e-mail. Ciao significa ciao, insomma, forse la risposta più efficace sarebbe che questa parola ha la funzione di esprimere un saluto fra persone che hanno una certa confidenza. Ma ciao da un punto di vista etimologico, con molta probabilità è figlio di un termine veneziano che significa schiavo. Le parole cambiano nel tempo, in diacronia come dicono i linguisti. Così dal latino sclavum deriva il veneziano sciavo; poi, il tempo ha cancellato in un certo senso le due lettere, la s e la v, due suoni che spesso spariscono o mutano, nell’evoluzione linguistica. Quando i veneziani si incontravano, dicevano sciavo e sottintendevano l’aggettivo possessivo vostro. Era una formula di cortesia molto formale – sono vostro schiavo – che ha ricevuto il favore dei parlanti nei secoli successivi, arrivando fino ai giorni nostri. E non solo in Italia: non sono pochi, infatti, i paesi stranieri in cui questo saluto si è diffuso, fra cui quelli in cui si parla francese e inglese. Su questa parola si terrà, da questa sera, sino al 30 maggio, il workshop intensivo curato da Antonio Grimaldi, presso il Piccolo Teatro di Porta Catena, di Salerno. “Ciao, Schiavo, è un laboratorio con performance finale rivolto ad attori, cantanti, musicisti, professionisti, allievi o a tutti coloro che abbiano voglia di sperimentare un’esperienza nel campo teatrale. Atto finale di questo workshop sarà la performance, in cartellone nella Rassegna “R- Esistenze” che si terrà a Salerno nei giorni 1- 2 e 3 giugno . “Ciao, Schiavo” si propone come una fuga da una quotidianità che non sembra appartenerci, ogni giorno ci sembra di dover resistere a delle condizioni che ci schiacciano. Come possiamo sentirci meno schiavi di noi stessi? “La parola “Ciao” deriva da “Schiavo” e se noi volessimo provare a ripetere queste parole all’infinito, noteremo che esse possono cambiare di significato e di pronuncia. Diventano altro- forse una canzone, e proprio attraverso questa melodia possiamo abbandonarci ad una danza fatta di geometria. Una danza per ripercorrere i Giorni della Resistenza.” “Mi piacciono gli esseri umani che, per uscire dal labirinto, usano le risorse del genio e della fantasia. Mi piacciono quelli che rischiano di bruciarsi ma non vivono sbattendo annoiati contro le pareti del labirinto. E ho sempre amato le persone che cercano la via d’uscita con la propria testa e non seguendo manuali già scritti. Apprezzo, più di quanto abbia mostrato, gli irregolari: quelli che sembrano avere una bussola impazzita in mano ma sono in realtà rabdomanti, mossi nel loro cammino da vibrazioni che vai a capire se vengono dal loro istinto o dalla presunzione dell’acqua”. (da “Ciao” di Walter Veltroni ed. Rizzoli).