Un clarinetto fra gli angeli Musicanti - Le Cronache
Spettacolo e Cultura

Un clarinetto fra gli angeli Musicanti

Un clarinetto fra gli angeli Musicanti

Questa sera, alle ore 20, Marco Frasca e il quartetto Hadimova si esibiranno nella Chiesa di San Giorgio, ospiti dell’Associazione Cypraea

Di OLGA CHIEFFI

Sarà l’associazione Cypraea della presidente Giuseppina Gallozzi che inaugurerà il prestigioso cartellone questa sera, alle ore 20.00 nella Chiesa di san Giorgio, con alcuni giovani laureati del Conservatorio di Napoli e di Salerno. Dall’altare della Chiesa, per la quale il comitato Amici di San Giorgio, chiederà delle offerte per restaurare la rettoria barocca, si eleverà la purissima voce del clarinettista Marco Frasca, depositario dei segreti della scuola clarinettistica napoletana, consegnati lui dal M° Giovanni De Falco, il quale con il quartetto d’archi composto da Antonio Colica, Mariarosaria Improta, Andrea De Martino e Dario Orabona eseguirà il celeberrimo e misterioso Stadler Quartet K.581 in La Maggiore, composto da Wolfgang Amadeus Mozart, e il Quintetto in Si Minore per clarinetto e archi, op.115 di Johannes Brahms. Il manoscritto dello Stadler Quartet, fra le più grandi di Mozart e fra le più grandi di qualsiasi autore antico o moderno è andato smarrito. Si conosce però la data nella quale il maestro vi pose termine: 29 settembre 1789. Stagione ormai triste per il povero Wolfgang, giunto al culmine del suo calvario umano e artistico. Stretto dai morsi della miseria e già ammalato incompreso dalla maggioranza del pubblico e degli “esperti”, incapace di districarsi per quella sua fondamentale assenza di spirito pratico, per quella persistenza invincibile del fanciullo nell’uomo, invece di vendicarsi con la creazione d’opere angosciose e angoscianti, resiste, eroico e magnanimo, nel cielo della più pura bellezza. Si direbbe che la coscienza del proprio destino e la certezza di salire ben presto nel regno delle universali armonie lo abbiano trattenuto dall’abbandonarsi a una crudele e troppo provvisoria rivalsa. All’epoca del Quintetto KV 581, ch’è poi l’epoca di Così fan tutte, ch’è poi la vigilia del Die Zauberflote e del Requiem, Mozart si è già congedato dalla sua carcerazione terrestre. Le malinconie insormontabili che adombrano, ogni tanto, il Quintetto in la maggiore sembran essere là per dimostrare come il maestro si renda conto della propria dura sorte, come non rigetti da sé il peso della propria carne, come sappia di avere alle labbra il suo calice. Ma, appunto per questa consapevolezza, come sappia trascendersi e anticipare la pace. Dobbiamo ben concludere che creazioni quali il Quintetto KV 581, quali il finale della Jupiter, quali le Arie e i Concertati di Così fan tutte, quali i cori del Flauto magico, mentre ci innalzano tra le divine giustizie e le divine perfezioni, stringono il nostro cuore e, ancor oggi, vi gettano un po’ di rimorso. “Fräulein Klarinette”, è il nomignolo affibbiato da Johannes Brahms a Richard von Mühlfeld, virtuoso dell’orchestra di Meiningen. Sedotto dal timbro dolcemente sensuale dello strumento, Brahms scrisse per Mühlfeld negli ultimi anni di vita quattro opere per clarinetto, tra cui il Quintetto op. 115, una vetta della musica da camera ottocentesca. E proprio l’intimità diventa sostanziale nel Quintetto op. 115 di Brahms, per portare alle estreme conseguenze il contrappunto e la tecnica di variazione in sviluppo degli elementi di partenza per testare i limiti della forma. La complessità compositiva svanisce tra le pieghe della lirica che impregna l’intera composizione. Se eccettuiamo qualche momento dell’Andantino, Brahms non è mai scherzoso, neanche negli improvvisi sbalzi d’umore. Così come il rapsodico Adagio, che vede il clarinetto protagonista indiscusso, è gitano nell’essenza, e perciò riesce ad esserlo senza essere popolaresco. Anche Brahms si cimenta nel suo Quintetto con la forma della variazione, che era una delle sue specialità. Accade nell’ultimo movimento, Con moto. Saltando da un carattere all’altro, e sempre in bilico tra modo maggiore e minore, il compositore ci riconduce fino al motto che apriva la composizione. Questo si dissolve nell’aria senza drammi, regalandoci un briciolo di empatica comprensione, ma lasciandoci comunque, dopo tanta luce, al buio.