Nella notte di domenica è scomparso uno dei compositori italiani più eclettici e amati in tutto il mondo. Mondo della musica e del cinema in lutto. Il legame con Salerno e con l’orfanotrofio Umberto I, che lo portò al Verdi di Salerno il 6 gennaio 2001
Di Olga Chieffi
Domenica sera eravamo tra le antiche pietre di Paestum: sul podio Riccardo Muti alla testa della sua orchestra di giovani strumentisti “L.Cherubini”, attacca la terza sinfonia di Ludwig Van Beethoven, l’Eroica. Il secondo movimento, la “Marcia Funebre” è stato il picco interpretativo della serata, interpretazione d’elezione di un Maestro che si è affidato con fiducia alle luci e alle ombre della partitura beethoveniana, senza forzare toni, per essere “beethovenianamente” drammatico o patetico, presagio e omaggio alla scomparsa di Ennio Morricone, che è avvenuta nella notte. Tutti avranno ascoltato nella propria vita un “Tribute to Ennio Morricone”: dietro quelle colonne sonore sonore che tutti conosciamo, fischiamo, canticchiamo, e vengono eseguite da qualsivoglia formazione, ragazzini, bande, orchestre giovanili, concerti da camera, grandi arene, c’è l’uso elegante di tecniche modernissime, come il serialimo e la musica concreta, combinate con elementi di popular music, influssi folk, canti celtici, canto gregoriano, trombe mariachi e un complesso di esecutori della taglia di un’orchestra sinfonica. In “Il buono, il brutto, il cattivo”, Morricone usa una melodia convenzionale, suonata da una chitarra elettrica, un’ocarina, e un’armonica, accanto a strumentazioni di tipo ancora meno convenzionale che includono il fischio, jodel, grugniti, vocalizzazioni talvolta irriconoscibili come umane, schiocchi di frusta e fucilate. Morricone ha voltato le spalle alle convenzioni hollywoodiane per il western e alla loro enfatizzazione dei profili melodici e dei caratteri armonici propri delle canzoni tradizionali e dell’inedia, e, così, ha definito un nuovo modello di riferimento per la colonna sonora di questo genere. Ma Ennio Morricone è tanto altro. In primo luogo è stato un trombettista, e il suo strumento è protagonista di tanta sua musica, a cominciare dal concerto Ut per tromba, percussioni e archi. Allievo di Goffredo Petrassi, si divise sin dall’inizio tra una libera adesione al serialismo (Musica per 11 violini, 1958) e la musica leggera. Sul versante colto, oltre all’adesione nel ’65 al gruppo Nuova Consonanza e all’alea, si segnala dagli anni ’70 una crescente produzione da concerto, caratterizzata da un’ eclettica commistione di stili e da una vena lirico-sarcastica: Secondo Concerto per flauto, violoncello e orchestra (1985), Riflessi per violoncello (1990), Ut per tromba, percussione e orchestra d’archi (1991). Ut è proprio il concerto che lo lega a Salerno, poichè il 6 gennaio 2001 fu proprio Ennio Morricone a dirigerlo al teatro Verdi di Salerno, ospite di Gaetano De Simone al tempo glorioso Presidente dell’Associazione Ex-allievi dell’orfanotrofio Umberto I e di Giovanni Paracuollo che gli tributò il premio Luigi Francavilla. Una parte iniziale molto dinamica che dura solo un minuto e mezzo “per non mettere in difficoltà” il solista. Poi, virtuosismi e stasi sino al finale dove si adagia su di un’immobilità costruita con pochi suoni che via via vanno spegnendosi, in un ultimo salto d’ottava superiore della tromba che gradualmente muore anch’essa. Il legame con gli strumentisti e in particolare con gli ottoni formatisi alla Scuola di Musica dell’ Orfanotrofio Umberto I è sempre stato di grande stima e continuativo, a cominciare dalla collaborazione con il trombettista Luigi Francavilla e con il cornista Giuseppe Sebastiano, Vincenzo Calabrese, Antonio Imparato. Da loro ci sono giunte delle testimonianze sulla figura del Maestro Morricone. Giuseppe Calabrese figlio d’arte del padre Vincenzo ha dichiarato “Quello che ricordo durante la sue tournée è la grandezza di un musicista nella fragilità di un uomo che si faceva forte della sua musica e di sua moglie Maria, sua inseparabile compagna che lo aspettava sotto al palco alla fine di ogni concerto per tornare insieme in hotel. Un uomo severo verso la Musica e verso il lavoro, non ammetteva il minimo errore o distrazione, non risparmiando commenti anche durante i concerti, ma tolti i panni di musicista diventava un vecchietto ironico e simpatico, specialmente verso la sua ultima compagna di viaggio che ce lo ha portato via per sempre”. Continua Domenico Sebastiano cornista “Occorreva un corno ottimo strumentista ad Ennio Morricone e venni chiamato io. Così ci siamo conosciuti e stimati da subito, ho collaborato per oltre venti anni con lui, incidendo 15 colonne sonore che sono nel sentire di tutti. Un grande maestro Ennio, di altissima e umiltà e carisma”. Ennio Morricone aveva tra i suoi colleghi musicisti anche il direttore della Banda della Polizia Antonio Imparato, che ha voluto offrirci il suo ricordo “ Ho conosciuto Ennio Morricone intorno agli anni ’70 poco dopo il famoso solo di tromba di Michele Lacerenza “Per un pugno di dollari” datato 1964. La storia di quel solo è nota, nel momento in cui Morricone stava preparando la musica per il primo film della trilogia di Sergio Leone, avendo bisogno di un trombettista per uno dei due temi principali, pensò subito all’amico, scontrandosi con il regista che invece avrebbe preferito Nini Rosso che in quel periodo aveva riscosso molto successo con alcuni 45 giri come Il silenzio o La ballata della tromba. Morricone si impose e Lacerenza suonò tra le lacrime creando quell’irripetibile capolavoro esecutivo. In seguito ho diretto il figlio Andrea violinista, il quale si è dato alla direzione e alla composizione anche lui, in un concerto in Auditorium a Roma per banda e violino solista, e nel 2018 abbiamo festeggiato insieme i suoi novanta anni e quelli della banda della Polizia fondata nello stesso anno. Tanti gli insegnamenti ricevuti da Ennio: due su tutti: “La musica è esclusiva passione” e “se nella partitura vedi una vigna non è bene”, soleva ripetere, sottolineando che la musica deve essere semplice e deve respirare, lasciando trasparire ogni nota”.