Tomasco: i medici non vogliono la riforma - Le Cronache Attualità
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Tomasco: i medici non vogliono la riforma

Tomasco: i medici non vogliono la riforma

di Erika Noschese

 

 

Prosegue la raccolta di informazioni e dichiarazioni del quotidiano “Le Cronache” sul tema della medicina generale. La bozza di riforma che circola nei palazzi romani sta destando non poche polemiche da parte del mondo medico, ma altrettanto non si può dire per il comparto infermieristico. A confermarlo è Biagio Tomasco, segretario generale provinciale di Nursind a Salerno.

Pur essendo solo una bozza, tanti medici non sono d’accordo e temono la sua applicazione.

«Il discorso è molto semplice: dall’ultimo sondaggio effettuato tra i medici di medicina generale, il 70% di essi esprime parere negativo a questa riforma. Paradossalmente, il 100% degli infermieri è favorevole. Partiamo da un dato di fatto: la necessità primaria è quella di garantire l’accesso alle cure, quindi favorire il decongestionamento dei Pronti soccorso da parte di tutti i cittadini che oggi non ricevono le dovute risposte dai medici di medicina generale e quindi vanno nei Pronti soccorso. Fare questa riforma significa costringere, tra virgolette, i medici di medicina generale a essere presenti per quei cittadini che se ne sentono sprovvisti. La riforma li rende dipendenti, non avranno la possibilità di scegliere dove andare a lavorare e quindi tutti i laboratori dovranno essere aperti, a prescindere dal distretto di appartenenza. Ci sarà la presa in carico dei pazienti in modo più eterogeneo; quindi, i cittadini non si rivolgeranno più al medico di medicina generale aprioristicamente, visto che la categoria già soffre tanto perché le quiescenze non vengono risanate. Se vogliamo mantenere queste competenze, bisogna garantire presenza. Il 70% dei medici non è contrario alla riforma, per quanto mi riguarda, ma è contrario ad avere un servizio di assistenza adeguato e funzionante».

Quali sarebbero i vantaggi per gli infermieri, così facendo?

«Se avessimo una figura infermieristica formata con linee guida, procedure e protocolli adeguati anche per agire in autonomia rispetto a determinate patologie che si presentano all’improvviso, il cittadino ne avrebbe vantaggio. Tutti gli infermieri sono favorevoli: finalmente il cittadino avrà dei punti fermi a cui rivolgersi».

E sarebbero scongiurati casi come quello registrato nei primi giorni dell’anno a San Mauro Cilento.

«Il caso di San Mauro Cilento l’avrei voluto toccare con pesantezza e non è detto che ciò non accada: lì non c’è stata solo la carenza della continuità assistenziale, ma c’è stata anche un’organizzazione del servizio 118 anacronistica e aberrante. Abbiamo rimosso gli infermieri dalle ambulanze, ma è un dato di fatto che i medici non vogliano lavorarci. Il problema è questo: il corpo infermieristico si è dedicato esclusivamente al servizio di emergenza in ambulanza ma è legato da pastrocchi legali senza senso. L’Emilia-Romagna, per citare un esempio, è stata regione pilota sul problema di non avere medici a bordo. Nel loro caso, hanno delegato la somministrazione di alcuni farmaci agli infermieri sotto il coordinamento dei medici delle centrali operative, che sono sempre attive. Nella provincia di Benevento abbiamo un servizio 118 che funziona in maniera egregia e che funziona coi medici delegati, con il modello Emilia-Romagna. Quindi si può fare o non si può fare? Se do la possibilità all’infermiere di poter somministrare dei farmaci, come accade ad esempio nei casi di infarto, ho poi bisogno di avere personale formato, che sia dipendente della struttura territoriale, che non sia lasciato solo a sé stesso. Dobbiamo ringraziare tutte le persone che, pur non essendo formate come si deve per queste emergenze, garantiscono ugualmente il servizio. Poi accade quel che non deve accadere, come nel caso di San Mauro Cilento. Sarebbe stato più utile avere sul posto una persona che si preoccupasse di dare assistenza al paziente, anziché assistere a una tragedia inconcepibile nel 2025».

I medici di medicina generale parlano di un impegno lavorativo che raddoppia.

«Impegno doppio, sì. Ma per il medico ospedaliero è il lavoro di tutti i giorni. Non vedo perché il medico di medicina generale non debba fare altrettanto. Questa bozza di riforma chiarisce sin da ora che sarà garantita anche la copertura dei medici di medicina generale per 7 giorni alla settimana, quindi il sistema deve funzionare h24. La protesta, legata al fatto che saranno costretti a raddoppiare il proprio lavoro, non ha fondamento: parte del lavoro si svolgerà al loro studio e parte presso le case di comunità. Qui non si discute del fatto che il loro è un lavoro troppo gravoso, anche perché negli ospedali si continua a lavorare sottorganico, esattamente come per i medici di base. Mi colpisce però che i concorsi per medici di medicina generale registrino meno accessi dei posti disponibili: c’è una oggettiva perdita di attrattività sul tema».

Come si può migliorare?

«Bisogna incentivare a intraprendere questo tipo di carriera. Ti pago di più per lavorare di più: ma qualsiasi libero professionista che si pone sul mercato del lavoro, stabilisce autonomamente le sue tariffe. Se devo essere dipendente, e devo garantire un doppio lavoro, ti chiedo di più. Ma qual è il tornaconto dello Stato? Spendo di più ma ho più garanzie. Altrimenti, poi, non ha senso lamentarsi del fatto che sia medici sia infermieri vadano verso il privato: dobbiamo fermare questa deriva. Lo Stato deve garantire a tutti accesso alle cure, ma oggi non è così. Questa è la verità».

Ci si è posti la questione del personale assunto dai medici di base. Quanti casi si registrano?

«Direi sporadici. I medici di medicina generale dimenticano una cosa fondamentale: se hanno, nel proprio studio, la presenza di un infermiere dedicato, ricevono per ogni assistito una quota suppletiva. Quindi questa voce già stona con il resto. Inoltre, basta prevedere che, laddove il medico di medicina generale diventi dipendente del sistema sanitario nazionale, ci sia anche un infermiere. Per questo pensiamo che questa bozza di riforma sia buona per infermieri e cittadini: raddoppia la presenza di personale che garantisce la salute delle persone. Dobbiamo smetterla di fare mercimonio. Bisogna capire perché, dai vertici nazionali della Fimmg, ci sia questo ostracismo. I tempi cambiano, la gente è più acculturata: tutti o quasi conoscono i propri diritti, sanno come avere ciò che gli spetta. Non possiamo più dire cose a caso. Molte volte ai Pronti soccorso arrivano persone mandate dai medici di medicina generale poiché riferiscono al paziente cose tipo: “Hai una colica, ma non ho un ecografo”. Se si ha un ecografo, ad esempio, si ha un’ulteriore quota suppletiva. Delle due l’una: vogliamo farlo il sistema sanitario nazionale pubblico o no? Se è proprio la categoria dei medici di medicina generale che si mette contro l’evoluzione di una società civile, mi preoccupo un po’, sinceramente. Questa riforma, con tutti i limiti che può presentare, rappresenta una svolta».