di Alberto Cuomo
Il dibattito a proposito del terzo mandato per i vertici regionali investe sia il campo legislativo che politico. Appare complesso inoltrarsi, in merito a tale argomento, nell’interpretazione del rapporto tra norma nazionale e norme regionali, tanto più che la stessa corte costituzionale nelle sue decisioni, e meglio sarebbe dire indecisioni, è apparsa ambigua. In breve: la legge quadro nazionale, che risale al 2004, prevede l’ineleggibilità ad un terzo mandato per il presidente regionale, ma anche il necessario recepimento di tale norma da parte dell’ente Regione con un proprio atto legislativo, dal momento alle leggi nazionali non è dato intervenire direttamente nelle specificità regionali. Questo dualismo ha consentito in diversi episodi di aggirare il dettato statale. Il caso più eclatante è quello del Veneto dove il presidente regionale, Luca Zaia, nel corso del suo primo mandato, nel 2012, fece promulgare la legge regionale che accoglieva l’indicazione statale determinando il termine dal quale partire per il calcolo dei mandati e ricandidarsi quindi nel 2015 e nel 2020, giungendo ai tre mandati. Attualmente in sette regioni il presidente in carica è almeno al secondo mandato e, se quattro di esse hanno assunto con proprio atto la legge nazionale circa i limiti dei due mandati, la Campania, la Puglia e la Liguria hanno leggi che non prevedono l’ineleggibilità per un terzo mandato quanto solo un generico rinvio all’applicabilità di altre norme non incompatibili qual è la norma generale. Una furberia che potrebbe non essere utile ai presidenti dal momento, se mai si ricandidassero, si esporrebbero ad un possibile intervento dei propri avversari politici presso la magistratura ordinaria e la suprema corte rivolto a lamentare l’inadempienza. Per quanto complessa sia la materia, la consulta si troverebbe in tal modo a giudicare alcune leggi elettorali regionali che hanno esplicitamente ignorato i principi generali stabiliti con legge della repubblica. Un’analoga censura potrebbe essere sancita se una o più di queste regioni scegliesse di adottare la strategia usata in Veneto. Del resto se venisse confermata la prevalenza della legge regionale, si permetterebbe, per qualunque argomento, ai presidenti regionali di eludere i divieti posti dalle leggi nazionali evitando semplicemente di legiferare. L’intenzione di Zaia e di De Luca di ricandidarsi ha fatto loro contestare la ratio della norma relativa al limite dei tre mandati rilevando, con l’appoggio della conferenza delle regioni, come esso sia imposto solo a sindaci e presidenti regionali e non ai membri del governo, ai parlamentari ed ai consiglieri comunali e regionali. E qui si fanno strada considerazioni politiche. I vertici comunali e, a maggior ragione quelli regionali, hanno natura monocratica con elezione diretta. In altri paesi, tra i quali gli Stati Uniti, dove il presidente conosce il limite dei due mandati non coinvolgendo in esso i membri del congresso, i vertici monocratici conoscono limiti di mandato. Ben si comprende che chi conserva per molto tempo un potere monocratico non viene a trovarsi in condizioni paritarie, nelle competizioni elettorali, con i propri avversari politici candidati. Siamo tutti disponibili a considerare come fascisti quei paesi che vedono, pur con dispositivi elettorali, il persistere al governo di un unico vertice. Del resto lo stesso Mussolini fu eletto in elezioni regolari nel 1922 e solo nel 1925 assunse poteri dittatoriali. Qualche settimana fa tutto l’ambaradan della sinistra ha protestato contro la commemorazione con saluto romano, in via Acca Larentia, dell’anniversario della strage avvenuta nel 1978 in cui furono uccisi due giovani del Fronte della Gioventù. In realtà vi è più rischio di deriva fascista nelle regioni governate da uomini di sinistra, la Campania e la Puglia, i quali, con arroganza, affermano di volersi candidare a tutti i costi per un terzo mandato, che non nella esuberante manifestazione di Acca Larentia. E’ singolare che mentre a Giorgia Meloni vengono continuamente richieste prove circa il suo dna democratico, la sinistra non si interroghi su De Luca e Emiliano sconfessando le loro pretese ad una nuova candidatura regionale, così come ha fatto Forza Italia che, per bocca di Antonio Taiani, si è detta contraria ad un terzo mandato pur avendo un suo rappresentante, Giovanni Toti, presidente della Regione Liguria. Elly Schlein per il vero ha negato l’eventualità di una ulteriore candidatura di De Luca e Emiliano, ma lo ha fatto nascondendosi dietro il dettato di legge nazionale che esclude il terzo mandato. Bene farebbe invece a sollevare la questione democratica dicendo esplicitamente che il Pd non ricandiderà aspiranti cacicchi. Ciò anche perché chi si è espresso in favore di una nuova legge in favore dei tre mandati è Matteo Salvini e, se mai tale legge andasse in porto, gli attuali presidenti con due mandati potrebbero giungere a ricoprire la carica per ben cinque mandati. Ciò perché dovendo la norma nazionale essere recepita in sede regionale, i tre mandati approvati saranno conteggiati a partire dalla ratifica. De Luca, in tal caso, potrebbe candidarsi per altre tre volte, giungendo ad occupare il vertice regionale per venticinque anni che, uniti ai venti del sindacato salernitano, lo farebbero giungere a circa mezzo secolo di potere locale quasi assoluto: altro che dittatura!