La richiesta della Lega del terzo mandato per i governatori va di nuovo a sbattere contro il ‘no’ degli alleati, che al Senato bocciano anche l’emendamento sull’eliminazione del ballottaggio per i sindaci. Diviso su una battaglia che il partito di Matteo Salvini non ritiene affatto chiusa, il centrodestra si compatta invece sulla giustizia: lunedì Giorgia Meloni in una riunione a Palazzo Chigi con Carlo Nordio ha dettato l’accelerazione sulla separazione delle carriere dei magistrati e sulla riforma del Csm. Un cambio di passo dopo la frenata autunnale, quando era stata data priorità alla riforma del premierato. L’intenzione della Lega di insistere sul terzo mandato era stata anticipata da giorni agli alleati, nonostante una prima bocciatura dell’emendamento durante l’esame del decreto elezioni in commissione. A differenza del relatore, Alberto Balboni di FdI, il governo ha evitato di esprimere parere negativo rimettendosi all’Aula di Palazzo Madama. E non è stata una sorpresa che ai voti favorevoli della Lega si sono uniti solo quelli di Italia viva, mentre si sono espressi contro FdI, FI, Pd, M5s e Avs, e si è astenuta la Svp. Inattesa è stata invece la proposta leghista sul ballottaggio dei sindaci in Comuni oltre i 15mila abitanti, che avrebbe consentito di eleggere chi al primo turno supera il 40%. L’idea non è piaciuta a FdI e FI, è stata definita dalla segretaria del Pd Elly Schlein “un blitz a tre mesi dal voto, uno sfregio alle più basilari regole democratiche”, ed è stata bocciata anche dall’Anci. “Non crediamo che uno stravolgimento della legge sull’elezione diretta dei sindaci possa essere ipotizzato senza interpellare i comuni”, ha osservato il presidente Antonio Decaro, sindaco di Bari, in nome della “leale collaborazione tra istituzioni”.
Questa volta il governo ha invitato al ritiro della proposta e la Lega ha accettato di trasformarlo in ordine del giorno. “Su questo tema possiamo comprendere che a due mesi dal voto sarebbe non corretto, quindi ci può stare. Per noi era importante porre la questione”, la sintesi finale del capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo. Dal suo partito intanto arriva un avvertimento: la partita sul terzo mandato continua. Tornare alla carica dopo la bocciatura in commissione è stata una scelta di coerenza, sottolineano da Via Bellerio, non era una mossa contro il governo. Al prossimo provvedimento utile, insomma, i leghisti torneranno all’attacco: “Ora – è il senso dei ragionamenti dei leghisti – i nostri alleati sono contrari ma magari più avanti cambiano idea, si trova un modo per smussare”. Fra le ipotesi che potrebbero essere valutate dal centrodestra alla ricerca di un compromesso, anche quella di ampliare il limite dei mandati da due a tre ma non per i governatori già in carica. Comunque non prima delle europee. “Non cambiamo posizione. Noi siamo contrari e votiamo contro”. Il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri conferma ad Affaritaliani.it che oggi in aula al Senato il partito del vicepremier Antonio Tajani voterà contro l’emendamento della Lega sul Terzo mandato per i presidenti di regione. “Non c’è nulla di scandaloso, ognuno ha la sua posizione. Non credo proprio che l’emendamento passerà ma non ci saranno tragedie. Il governo non si fonda su questo tema che francamente non mi preoccupa più di tanto. Ne abbiamo anche parlato con Romeo, i rapporti sono cordiali. E’ lecito avere posizioni diverse, ma non è un argomento che possa assolutamente turbare i rapporti all’interno della maggioranza”, conclude. Intanto, il Pd deposita in Senato l’ordine del giorno al decreto Elezioni sul Terzo mandato. L’odg, a prima firma del capogruppo Francesco Boccia, impegna il governo ad avviare, in raccordo con il Parlamento, con la Conferenza delle regioni e con l’Anci, secondo una logica di “ampia condivisione e collaborazione”, un percorso di riforma per superare “le criticità” emerse negli anni e a “migliorare la capacità rappresentativa e di governo” di Comuni e Regioni. In tale sede andrà affrontata “anche la questione della ridefinizione del numero dei mandati consecutivi degli organi di vertice degli enti territoriali, del rafforzamento dei ‘temperamenti di sistema’ e del ruolo e della funzione delle assemblee elettive”.
Il Pd rileva che il decreto Elezioni, “destinato a dettare disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell’anno 2024”, non è la sede per la disciplina del numero dei mandati elettivi che possono essere ricoperti dai sindaci, “si tratta, infatti, di una modifica che – incidendo in modo strutturale e sistematico sull’ordinamento di una grandissima parte dei comuni italiani e sul loro sistema – dovrebbe trovare collocazione nel quadro di una comprensiva revisione dell’ordinamento degli enti locali e della disciplina del loro sistema di governo” e, per le regioni, “della legislazione quadro adottata ai sensi dell’articolo 122 della Costituzione”.
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