di Giuseppe Gargani
Le indagini giudiziarie che vanno sotto il nome di “mani pulite” sono iniziate trent’anni fa e da quella data si attende una riforma della giustizia che metta ordine nel rapporto tra la politica e la magistratura e adegui l’ordinamento giudiziario alle nuove esigenze e al nuovo ruolo che il magistrato deve assumere nella società. Il governo a distanza di tanti anni presenta una riforma dell’ordinamento giudiziario e del CSM molto timida e incerta che può essere solo considerata una bozza per far lavorare il Parlamento. È strano che il Presidente Draghi e la ministra Cartabia non abbiano avuto più coraggio per rendere moderno il sistema giudiziario e non abbiano tenuto conto della sovraesposizione del giudiziario che determina uno squilibrio istituzionale dannoso per la democrazia, proponendo una riforma che potesse incidere sul ruolo da attribuire alla magistratura coerente con la Carta Costituzionale.
Draghi ha di fatto confessato che non poteva fare di più e ha sfidato il Parlamento a trovare un’intesa più larga promettendo di non ricorrere al voto di fiducia.
Si è parlato tanto in questi mesi della prevalenza delle decisioni del Governo che non lasciano libero il Parlamento per le molteplici questioni della pandemia; dobbiamo riconoscere che in questo caso il Parlamento ha la possibilità di dimostrare la sua autonomia e la sua capacità di trovare punti di incontro tra i gruppi parlamentari.
È una occasione preziosa e forse unica per fare una riforma che riaffermi la prevalenza del potere legislativo sull’ “ordine giudiziario“ così come statuito dalla Costituzione.
La proposta del Governo è dunque parziale e quindi suscettibile di approfondimenti.
Avremo modo di intervenire sulle singole norme e dare suggerimenti; qui ci limitiamo a dire che la riforma elettorale per le elezioni dei componenti del CSM lungi da scoraggiare la invadenza delle correnti ne accentua le caratteristiche negative. Sì è riportato nell’ambito della magistratura lo schema della legge cosiddetta “mattarellum” utilizzata per le elezioni del Parlamento, una legge maggioritaria e un po’ proporzionale che tanti danni ha procurato alla politica e alla “rappresentanza” e che creerebbe danni all’organo di autogoverno, incrementando il potere delle correnti più organizzate.
Se i quattordici consiglieri saranno eletti con il sistema maggioritario con collegi binominali è evidente che la corrente più consistente verrà premiata anche se le candidature non avranno bisogno di firme di presentazione e quindi possono essere personali e proprio per questo subordinate a gruppi di pressione organizzati. Il personalismo è dannoso in politica e in ogni consultazione elettorale perché elimina qualunque riferimento ideologico e culturale, estremizza le posizioni e alimenta le clientele
Invece anche per il CSM il sistema elettorale proporzionale renderebbe più trasparente le contrapposizioni tra le liste diverse che fanno riferimento a contenuti a programmi, a idee collegiali. Questo è l’unico sistema che potrebbe eliminare la degenerazione delle correnti.
Naturalmente l’ipotesi, che pur viene proposta, del sorteggio tra i magistrati per accedere al CSM è perversa e inaccettabile: ho sempre ritenuto questa una proposta vigliacca perché elimina la responsabilità della scelta e
naturalmente offende la Costituzione .
Dunque finalmente il Parlamento ha la possibilità, alla fine della legislatura di poter qualificare le sue scelte perché è davvero arrivato il momento di affrontare alcune questioni che sono fondamentali e pregiudiziali per porre rimedio ad una crisi che investe il modo di fare giustizia da parte di chi, per tutti gli eventi che sono venuti alla luce, non ha una legittimazione adeguata per essere considerato al di sopra delle parti.
Per tutto quello che è stato evidenziato le disfunzioni della magistratura hanno inciso e incidono nelle decisioni giurisdizionali, mettendo in dubbio la sua tenuta morale e, il cittadino ha capito che i nemici del “indipendenza“ non sono i politici o i contestatori di turno ma gli stessi magistrati.
È per riconquistare la fiducia dei cittadini che gli stessi magistrati dovrebbero chiedere riforme adeguate.
Dobbiamo constatare per da una indicazione per le riforme che la magistratura ha assunto un ruolo politico anomalo non in linea con la Costituzione configurando una Repubblica giudiziaria che ha messo in discussione l’autonomia della Repubblica parlamentare e la separazione dei poteri.
L’espansione del potere giudiziario ha di conseguenza acuito la crisi del potere legislativo che ha perduto credibilità anche per aver esso stesso dato per legge una delega ampia al giudice di decidere le controversie sociali e quindi di incidere politicamente.
Gli accadimenti politici e giudiziari dagli anni 90 in poi, cioè dalle indagini di “Tangentopoli” che hanno colpito i partiti e tanti rappresentanti politici, hanno aggravato questo contrasto istituzionale e hanno determinato uno squilibrio tra i poteri dello Stato, hanno avvilito le istituzioni considerate dai più ostili e corrotte.
Le indagini di “mani pulite” sono finite con la assoluzione degli imputati in una alta percentuale con motivazioni a volte molto severe da parte dei giudici nei riguardi dei pubblici ministeri; le loro indagini non hanno costituito prova per una possibile condanna! Anche le indagini per “mafiopoli” sono state considerate fasulle, e hanno sancito la sconfitta dei pubblici ministeri ridando prestigio allo Stato e ai rappresentanti dello Stato.
Dobbiamo prendere atto oggi che i giudici hanno fatto giustizia della magistratura inquirente e hanno interpretato gli avvenimenti con il dovuto rigore logico per cui il Pool “mani pulite” di Milano considerato rigeneratore di uno Stato etico e della legalità, ha operato una rivoluzione giudiziaria fasulla e dissacrante.
La maggior parte delle decisioni giurisdizionali hanno cancellato la pretesa dei magistrati inquirenti di accreditare una storia falsa per screditare i partiti politici e l’apparato dello Stato.
La sentenza ha il valore giuridico di verità processuale, in base a fatti accertasti senza la pretesa di ricostruire una storia generale.
A questo punto la domanda: come è potuto avvenire tutto ciò, come è stata possibile una deviazione delle indagini così smaccata da distorcere il significato degli avvenimenti in maniera così “illogica”?!
La classe dirigente che ha governato il Paese fino agli anni 90 deve pretendere una risposta perché a distanza di tanti anni è possibile fare un’analisi non in contrapposizione ai magistrati ma insieme a loro e alla Associazione che li rappresenta coinvolgendoli sulla necessità di una comune rivoluzione culturale.
L’associazione Nazionale magistrati il 17 prossimo organizza un convegno a Milano per ricordare quelle indagini con la partecipazione di uno dei principali imputati di quel periodo Cusani.
Bisognerà capire se si tratta di una celebrazione per esaltare o per criticare il metodo che soprattutto la procura di Milano ha adottato con la partecipazione costante singolare del giudice Ghitti.
L’Associazione ha sempre ritenuto che le indagini di “mani pulite” fossero normali, fatte secondo le regole del codice e ora invece individua un potere della magistratura di prima e di dopo tangentopoli. Avremo modo di valutare
Intanto gli avvocati, gli uomini di cultura e i politici e i giornalisti si confronteranno in un convegno a Roma il 23 febbraio sul significato che quell’indagine ha avuto per tracciare una storia vera o per indicare quella immaginata dai magistrati.
Gherardo Colombo che faceva parte di quel gruppo milanese di sostituti procuratori ha ripetuto in una trasmissione televisiva con molta forza che il “sistema” finanziamento pubblico dei partiti e corruzione è stata una scoperta importante e decisiva, e questo è il merito di quelle indagini.
Io dico da tanti anni che è stato indagato appunto il “sistema“ e non i singoli fatti, i singoli imputati, e questa è la patologia che dovremmo tutti insieme riconoscere.
Luigi Ferraioli dice che il processo penale può diventare “storia di errori” e il diritto penale “storia di errori”.
Dobbiamo verificare questo perché a distanza di trent’anni il giudizio può avere valore storico
Giuseppe Gargani