di Olga Chieffi
Ultimo segmento per Salerno Classica, ideata dalla Associazione Gestione Musica, un progetto articolato che ha visto le associazioni concorrere e ottenere il finanziamento dal Fondo unico per lo Spettacolo nella sezione Nuove Istanze 2021, con il progetto “Celebrazione, Tradizione, Innovazione”, 15 concerti che coinvolgono oltre il comune di Salerno, che ha sostenuto la kermesse, anche le città di Benevento, Amalfi e Brienza. Il mese di dicembre della rassegna sarà dedicato al “sacro”, con taglio del nastro stasera alle ore 20, 30, nella chiesa di San Giorgio, per il concerto dedicato a Dante, in occasione delle celebrazioni dei settecento anni dalla morte dell’ Alighieri, una serata intitolata “Sonata Dantis”, un concerto-racconto che saluterà protagonisti il tenore Daniele Zanfardino, il baritono Francesco Auriemma, l’attore Alfonso Liguori unitamente all’Ensemble lirico Italiano, composto da Sergio Martinoli e Laura Quarantiello al violino, Piero Massa alla viola, Francesco D’Arcangelo al violoncello e Luigi Lamberti al contrabbasso, i quali spazieranno tra le grandi opere dei compositori italiani, che si sono confrontati con il “metter in musica” i versi più rappresentativi di Dante Alighieri, pagine arrangiate dallo stesso D’Arcangelo. S’inizierà con la lettura della I stanza della Canzone “Così nel mio parlar voglio esser aspro”, un peccato di lussuria letteraria nel quale era incappato Dante nelle “Rime Petrose” e da cui Luca Marenzio attinge il testo per uno dei suoi madrigali più maturi, che ascolteremo in versione strumentale a commento della recitazione di Alfonso Liguori. Scelta non usuale, dal momento che il petrarchista Pietro Bembo, che tanta influenza ebbe sulla storia del madrigale del Cinquecento, dissuadeva i musicisti suoi contemporanei dall’intonare le rime di Dante a causa di tutte quelle «voci rozze e disonorate» di cui il Sommo Poeta si sarebbe reso colpevole nel suo bisogno di esprimere cose che non possono essere espresse in maniera piacevole. Si continua con la “Vita Nova” con i quattro Sonetti op.41 di Mario Castelnuovo-Tedesco, datati 1927 affidati al tenore Daniele Zanfardino e al quintetto. “Cavalcando l’alter’ier per un cammino”, “Ne li occhi porta la mia donna Amore”, “Tanto gentile e tanto onesta pare” e “Deh peregrini che pensosi andate”, indicativi di un’aspirazione a interpretare una moderna toscanità musicale, espressa attraverso il repêchage‘mimetico’ di stilemi musicali caratteristici, e le qualità generali e parimenti distintive della sua scrittura: la misura, l’eleganza, l’equilibrio, la serenità, ovvero l’assenza di esasperazioni espressive e radicalismi linguistici. La seconda parte della serata sarà interamente dedicata alla Divina Commedia. Si principierà dalla lettura del Canto III dell’Inferno, accompagnata dal madrigale di Luzzasco Luzzaschi “Quivi sospiri”, in versione strumentale evocante i “sospiri, pianti et alti guai”, le “diverse lingue horribili favelle / parole di dolore accenti d’ira” , una pagina che si distingue dalle altre per una sorta di “Stimmatausch”, sostituzione di materiale melodico tra le voci e la tortuosa ambientazione. Seguirà la lettura di passi dall’esegesi del Canto XXXIII dell’Inferno di Borges, ovvero il suo Dante irrisolto. Dell’intero episodio di Ugolino, infatti, ciò che meglio sembra a Borges essere riuscito, è proprio l’umbratile ambiguità dell’espressione poscia più che ‘l dolor poté ‘l digiuno. “Negare o affermare il mostruoso delitto di Ugolino è meno tremendo che intravederlo. […] Così, con due possibili agonie, lo ha sognato Dante e così lo sogneranno le generazioni future”. Qui ancora, e sempre, l’atto letterario è assimilato al sogno e la parola fissa l’infinito ripetersi di una uguale armonia. Il baritono intonerà quindi, la cantata “Il conte Ugolino”, che Gaetano Donizetti dedicò a Luigi Lablache, nel 1826, star di primissima grandezza, un po’ per ingraziarselo, un po’ per sfidare l’Ugolino dello Zingarelli, una cantata-lamento per soprano, endecasillabi danteschi attraverso i quali il compositore affonda le mani nella radice stessa dell’arte teatrale. Qualche lettura dal carteggio di Giacomo Puccini, per introdurre lo Schicchi di Dante “E l’Aretin che rimase, tremando mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi, e va rabbioso altrui così conciando»…”. Dal Gianni Schicchi, ultima opera del Trittico, il tenore eseguirà l’aria di Rinuccio, “Firenze è come un albero fiorito”, che ha in bocca versi dal profilo lessicale antico e s’esprime attraverso forme poetiche insolite, venate di fattezze melodiche popolareggianti come questo stornello toscano, mentre il baritono mostrerà tutta l’irriverenza del protagonista in “Ah che zucconi!”, il monologo di Schicchi ove si ha da essere grandi attori oltre che cantanti. La lettura del canto XI del Purgatorio, introdurrà il Pater Noster di Giuseppe Verdi, ove, però, non v’è, nel testo musicato, che il primo verso: “O Padre nostro, che ne’ cieli stai”, in seguito le terzine procedono per conto loro, con altre rime e altri concetti, parafrasando la preghiera tradizionale, forte di quella sua scrittura delicatissima e cristallina ispirata dall’idioma palestriniano. La serata verrà chiusa dalla lettura del XXXIII canto del Paradiso, in cui Dante ritorna tra i mortali conservando in sé il sigillo del linguaggio spirante, che sarà parte cospicua “favilla” di quel volgare vivo, che brilla d’ombra di luce e solchi di senso.