di Marta Naddei
Era il confidente di suo figlio Simone e dal racconto, che il 39enne gli avrebbe fatto in più di una occasione prima di morire, potrebbero emergere particolari cruciali per portare a galla la verità su un suicidio ancora ammantato dal mistero. Confidenze che sarebbero state raccolte in un memoriale pronto ad essere depositato agli atti dell’inchiesta aperta presso la Procura di Salerno a seguito di una denuncia partita proprio dalla stessa famiglia De Falco. E’ stato ascoltato venerdì mattina dal magistrato Gianfranco Russo, titolare dell’inchiesta, il padre di Simone De Falco, l’appuntato dei carabinieri originario di Cava de’ Tirreni che si è tolto la vita – sparandosi un colpo di pistola in bocca – lo scorso 4 aprile, in una stanza al primo piano della caserma “Arena e Pezzuto” di via Mauri, sede del comando provinciale dell’Arma. E sarebbe proprio il funzionario di banca in pensione, il signor De Falco, a custodire i segreti del figlio, alcune confidenze che il giovane gli avrebbe fatto alcuni giorni prima di prendere l’improvvisa ed inaspettata decisione di suicidarsi sul proprio posto di lavoro. Una vicenda che fin dall’inizio è stata caratterizzata dal mistero: il 39enne appuntato dei carabinieri, Simone De Falco – sposato e padre di tre bimbi piccoli – non aveva certamente mostrato, secondo quanto hanno sempre raccontato i familiari, segni di malessere o di intolleranza verso una situazione. Tanto che – assistiti dall’avvocato Alfonso Senatore – si sono immediatamente rivolti alla magistratura per far luce sulle reali motivazioni che hanno indotto il loro congiunto a compiere l’insano gesto. Così, dopo che l’autopsia effettuata dal medico legale Giovanni Zotti ha confermato il suicidio, ora c’è da chiarire il perché Simone abbia deciso di porre fine alla propria esistenza in un giorno di inizio aprile. L’ipotesi che fin dal principio ha spinto la famiglia De Falco a far aprire una inchiesta penale è che sia accaduto qualcosa – nella mattina del 4 aprile – che avrebbe poi indotto il militare dell’Arma a estrarre la pistola d’ordinanza dalla fondina e puntarsela alla gola, per poi premere il grilletto. Insomma, per i parenti ed il loro avvocato Senatore si è trattato di una istigazione al suicidio. Già nelle scorse settimane era venuta a galla la presenza di un confidente di Simone, di qualcuno a lui molto vicino che avrebbe raccolto gli sfoghi e le preoccupazioni del giovane carabiniere cavese. Venerdì la svolta con papà De Falco che è stato ascoltato dal Pm Gianfranco Russo come persona informata dei fatti. Un particolare, questo, che potrebbe rappresentare la vera e propria chiave di volta nelle indagini sul caso De Falco. Stando a quanto raccolto fino a questo momento, infatti, sono state escluse tutte le piste al di fuori del contesto lavorativo: Simone De Falco non aveva problemi di salute (così come i suoi familiari, ndr), non aveva problemi di carattere economico né era in preda ad alcuna crisi mistica, dovuta all’attività di diacono presso alcune parrocchie di Cava de’ Tirreni, in primis quella di fra’ Gigino. Né tanto meno, quella mattina, Simone De Falco avrebbe fatto un gesto d’addio nei confronti dei familiari: nessun abbraccio, nessun messaggio. Eppure Simone quel giorno si sarebbe dovuto recare in caserma nel pomeriggio ma improvvisi impegni familiari lo indussero a richiedere un cambio turno. Insomma, è nell’arco di quella mattinata che il destino di Simone De Falco e della sua intera famiglia è cambiato irreversibilmente. Ora, in un memoriale sarebbe contenuto il perché.