di Antonio Manzo
. È un metodo investigativo che non va più di moda per pubblici ministeri-poliziotti, corrotti dalla ricerca della notorietà professionale-personale prim’ancora che dallo spirito di ricerca della prova processuale.
Non vale più la confessione dell’imputato indotta e provocata dalla promessa del beneficio della libertà perché l’incubo della gogna giudiziaria porta inevitabilmente i processi in piazza. Quindi è inutile contrattare confessione e libertà nell’inferno di una cella perché frasi ad effetto registrate dalle intercettazioni divulgate ad arte dagli stessi inquisitori possono indurre alla confessione prima di un giusto processo. E non, come chiedeva un illuminato filosofo e giurista di impronta liberale, come Jeremy Bentham , perché i processi dovessero esser fatti in pubblico, ma perché oggi è impossibile con la gogna giudiziaria, celebrarli lontani dalla piazza come chiedeva profeticamente Bentham. Sarà pure un caso del destino vendicativo nella realtà che proprio in queste ore si discute di politicizzazione della magistratura mentre infuria l’ennesima tempesta sui rapporti politica-giustizia. Ma fatto è che proprio oggi sarà presentato al Maxxi di Roma il libro “La gogna” di Alessandro Barbano sugli abusi della giustizia nel caso Palamara. Parteciperanno l’autore insieme a Sabino Cassese, Paolo Mieli, Enrico Mentana, Flavia Perina e Giandomenico Caiazza. Al centro dell’ennesimo libro inchiesta sulla magistratura italiana, nel libro di Alessandro Barbano c’è la hall dell’hotel Champagne di Roma dove nel maggio del 2019 un gruppo di politici e magistrati discutevano con la logica degna erede di un “manuale Cencelli” come lottizzare tra le correnti dell’associazione magistrati i posti di capi delle procure della Repubblica a partire da quella presuntamente snebbiata della procura di Roma. Il caso Palamara gestito dall’informazione come una sentenza di condanna già fatta con scampoli di intercettazioni, perfino con il trojan, non portò ad una ineludibile riforma del Consiglio Superiore della magistratura senza dare seguito alle parole molto forti del presidente Mattarella nei confronti dello scandalo Palamara soprattutto per evitare che la lottizzazione correntizia delle procure, ad esempio, accentuasse le stesse procure come un potere indipendente della stessa magistratura. Il libro di Alessandro Barbano rilancia il dibattito sui meccanismi di governo del Csm, organo di autogoverno della magistratura, ma spesso il dettato costituzionale interpretato e rappresentato come un “corpo separato” da ogni legge. Eppure la storia dell’Anm non si è chiusa con lo squilibrio offerto dal caso Palamara. Basti ricordare come l’Anm sia stata governata negli anni da magistrati giudicante (e non pubblici ministeri) come Sandro Criscuolo, Raffaele Bertoni, Nino Abate ed Elena Paciotti tutt’altro che teneri o sottomessi al potere politico. Alessandro Barbano costringe la politica a rappresentarsi ed agire come garanzia costituzionale dei diritti di ogni cittadino a partire da quello dell’attuazione del principio di non colpevolezza (articolo 27 della Costituzione) cambiando o recidendo tutti gli strumenti invasivi della libertà e della dignità umana, a cominciare dall’effetto devastante dell’utilizzo delle intercettazioni telefoniche. Anche per non essere inseguti, nella nostra democrazia, dai tribunali di Babele come acutamente osservò qualche anno fa Sabino Cassese.