di Giovanni Sapere
Al processo per il mancato rientro dalla Svizzera di 20 milioni di euro che nel giugno dello scorso anno portò all’arresto di monsignor Nunzio Scarano per le accuse di corruzione e calunnia, ha deposto oggi come testimone Massimiliano Marcianò ex collaboratore del religioso. Ad interrogarlo durante l’udienza davanti alla quinta sezione penale del Tribunale di Roma il pubblico ministero e gli avvocati delle parti sulla base delle intercettazioni fatte nel corso delle indagini sfociate poi anche nell’arresto di altri due complici di Scarano, cioè l’ex agente segreto Giovanni Zito e Giovanni Carenzio. Questi ultimi due vengono giudicati in un diverso processo con rito abbreviato. Parlando del fallimento dell’operazione, Marcianò ha ricordato che per il mancato rientro dei 20 milioni di euro che si indicano come di proprietà degli armatori D’Amico di Salerno “monsignor Scarano disse di essere in difficoltà perché dal fallimento di quell’operazione aveva perduto del denaro della sua famiglia, cioè tutto quello che aveva”. Scarano, secondo il testimone, organizzò il rientro del denaro affidandosi a Carenzio e all’ex agente segreto che doveva riportare in Italia la somma a bordo di un aereo privato. Progetto che poi fallì. Secondo Marcianò, se i soldi fossero rientrati Scarano ne avrebbe avuto una parte. Sempre secondo il testimone, il religioso aveva concordato con Zito di dargli un milione per organizzare il rientro delle somme. Quando l’operazione non andò a buon fine, Zito ebbe una discussione con Scarano il quale sperava che l’ex agente si accontentasse di una somma minore. Alla fine ci fu l’accordo per 400mila euro. Il processo riprenderà il prossimo mese di novembre.