Di Adriano Falanga
“Salve a tutti, Mi chiamo Barbato Domenico, onesto lavoratore saltuario, padre e marito esemplare dichiaro apertamente di non riuscire più a pagare, con i miei introiti, tutte le tasse che lo Stato mi chiede”. Sembra una provocazione, ma contattato, l’uomo, un artigiano di 43 anni sposato con un figlio di 4, conferma la sua delicata situazione e spiega i motivi del suo appello, apparso in rete. “In questi anni ho cercato di pagare le utenze, che sono quadruplicate, ho cercato fin quando ho potuto pagare le tasse comunque raddoppiate, ho cercato di mantenere in vita la mia attività artigianale portando al minimo i costi di gestione e riducendo le mie entrate, perché costretto ad abbassare i prezzi”. Neanche questo è bastato. Domenico è stato costretto così ad entrare nel vortice del lavoro saltuario, chiaramente al nero e mal retribuito. “La crisi non colpisce solo me, lo so – aggiunge ancora – ma sono molto demoralizzato. Ho tanta volontà anche di rimettermi professionalmente in discussione ma nelle mie condizioni è praticamente impossibile l’accesso al credito”. Già, la banca del resto è quell’istituto che ti presta l’ombrello quando non piove e lo rivuole quando piove, e Mimmo non ha nessuna garanzia da offrire. “Da domani smetterò di pagare le tasse, la legge è con me. Come posso farlo se non ho un lavoro tale da poter assolvere ai miei doveri? E soprattutto, se da questo Stato io non ricevo nulla?”. Fa appello a due articoli di legge Barbato. “Mi appello ai principi dello stato di necessità e della capacità contributiva proporzionale al proprio reddito, stabiliti rispettivamente dagli articoli 54 del codice penale e 53 della Costituzione, per legittimare il mio rifiuto categorico di continuare a contribuire, attraverso le tasse, alle spese per il mantenimento dei privilegi della classe politica che ci governa, vera protagonista di questa crisi economica”.
Parte lo sfogo di chi si sente preso in giro: “Con le loro scelte hanno mantenuto uno Stato parassitario, e scaricato le proprie responsabilità verso le categorie più deboli, in particolare piccoli commercianti e artigiani. Tassa dopo tassa ci hanno portato allo stremo, spesso inducendoci a pensare a dei brutti epiloghi. Questa è l’accusa maggiore che faccio ai nostri governanti: induzione al Suicidio”. L’uomo è un fiume in piena: “Ribadisco apertamente di non poter più pagare ulteriori tasse: non sono un delinquente, neanche un ladro. Non voglio essere un evasore, ma davanti a una politica che continua insensatamente a mantenere privilegi e costi sproporzionati, vergognosi e irrispettosi nei confronti di tutti i lavoratori di questo paese, inizio questa protesta economica appellandomi a due sopracitati articoli”. Smettere di pagare non per evadere, ma perché in “stato di necessità e pericolo”. Quale pericolo? “Il vertiginoso e incontrollato aumento delle tasse ha prodotto un danno grave alla mia famiglia mettendo in pericolo soprattutto il futuro mio, di mia moglie, di mio figlio. Io non guadagno abbastanza per pagare tutte queste tasse; e ricavo il giusto per far sopravvivere i miei familiari; esigo che lo Stato si faccia garante della mia condizione familiare”. Domenico, Mimmo per chi lo conosce, è commosso, e spiega che non intende chiedere elemosina e nemmeno suscitare compassione. “Rivendico solo il mio diritto di essere padre e marito, e di poter provvedere al sostentamento della mia famiglia. Con le mie sole forze”.