Salerno. Ruggi, una storia a lieto fine - Le Cronache Attualità
Attualità Salerno

Salerno. Ruggi, una storia a lieto fine

Salerno. Ruggi, una storia a lieto fine

di Erika Noschese

«Chi non crede nei miracoli, non è un realista». Che l’abbia detta Audrey Hepburn o David Ben Gurion poco importa, magari l’avranno detta entrambi ed è giusto che la storia se ne ricordi con pari importanza. Così com’è giusto ricordare che le cose belle accadono, anche quando tutto sembra perduto. Questa è una storia vera, una di quelle a lieto fine che sarebbe sempre meglio non farsi raccontare: però, quando accade, è incredibilmente bello apprezzare il valore delle cose, a partire dalla vita stessa. Protagonisti di questa vicenda sono i membri di una famiglia, di origine napoletana. Inizialmente due, poi diventati quattro. Al centro c’è una donna, la moglie e madre di due bambini. Ed è più giusto che a raccontare quanto accaduto sia proprio lei. «Ho avuto un picco di pressione alta e mi sono recata al “Ruggi” di Salerno per vedere di controllare la mia pressione. Ero incinta, alla fine dell’ottavo mese. Mi reco quindi in ospedale per le cure necessarie affinché mi si normalizzi la pressione. Passo al Pronto Soccorso e già lì ho incontrato la dottoressa Gallo, in prima battuta: è stata bravissima e si è accorta di qualche complicazione a livello placentare. Anche il ginecologo De Rosa è stato davvero bravissimo, sono loro due i primi che ho incontrato in questo percorso». E poi, cos’è successo? «Hanno preferito ricoverarmi subito. Ricoverata, sono rimasta lì 5-6 giorni: hanno eseguito tutti i dovuti controlli in quell’occasione». Era già seguita dal personale del “Ruggi”? «No, ero presso un altro presidio ospedaliero perché mi stavano seguendo altrove, al Secondo Policlinico di Napoli. Ma, data la distanza, visto che ero a Salerno, non potevo andare nell’immediatezza a Napoli e quindi sono rimasta a Salerno. Quindi ho deciso di restare, vista l’accortezza e l’attenzione di tutti nei miei confronti, affidandomi al prof. Colarieti. Il quale, poi, mi ha fatto capire, sempre con un garbo eccezionale e con le maniere giuste, i pericoli che stavo correndo in quel momento, senza mai allarmarmi. Tutta l’equipe è stata di una bravura eccelsa». Cosa accade dopo? «Il prof. Colarieti ha organizzato tutta l’equipe per il parto, visto che c’erano più complicazioni del solito, trattandosi di un gemellare. Ha deciso di operarmi subito e ha impiegato anche pochissimo tempo per organizzare l’equipe e arginare tutte le complicazioni che si erano verificate, visto che erano più d’una. Lo ha fatto in tempi record, perché sono stata dimessa e, dopo due giorni dal nuovo ricovero, mi hanno fatto partorire. Quindi tempi record. Mi hanno raccontato, poi, quelli che erano fuori, di quanto fosse incredibilmente numeroso lo staff: 10 persone diverse, tra radiologi, interventisti, anestesisti, di tutto di più, al fine di evitare di incorrere in possibili emorragie e altro». Si è sentita protetta. «Tutti i reparti, ognuno per conto proprio, hanno svolto il proprio ruolo. Ma anche prima: la dottoressa Gallo ha chiesto sin da subito consulenze mirate per risolvere anche altri piccoli problemi, meno legati all’urgenza, come ad esempio la consulenza del chirurgo vascolare, su cui semmai un altro medico avrebbe potuto soprassedere. Tutto questo perché zoppicavo, avevo problemi alla gamba: nulla è stato lasciato al caso. La mia sensazione è quella di essere stata proprio trattata al meglio: più di questo non si poteva fare». Eppure i rischi ci sono stati, e non erano pochi. «Abbiamo rischiato tutti e tre, io e i bambini. Ma loro sono stati molto bravi a non farmi percepire questo rischio: sapevano quello che facevano, quindi sarebbe stato anche inutile. Mi hanno sempre edotta su tutto, letto le linee guida prima di farmi firmare qualsiasi documento, non mi hanno tenuta all’oscuro su nulla. Allo stesso tempo, però, non mi hanno mai fatta agitare, visto che non potevo andare con pressione alta in sala parto». Quanto ha dovuto attendere prima dell’intervento? «Hanno aspettato che finisse l’ottavo per intervenire. Si è potuto fare, non hanno alzato ulteriormente il rischio: era tutto calcolato». Con quali nemici stava combattendo? «Preeclampsia, anche detta gestosi. La placenta, inoltre, era a creta, si era vanificata nell’utero e ne avrebbe comportato poi l’asportazione al momento dell’operazione. Entrambe le cose, messe insieme, hanno reso la questione abbastanza delicata. Perciò i dottori hanno dovuto approntare più specialità per poter essere pronti a qualsiasi evenienza. Hanno dovuto praticare, prima dell’operazione, l’embolizzazione: quella è stata la parte della radiologia interventistica, anche loro molto bravi, fatta in via preventiva. Tutto questo poi non è servito, fortunatamente, perché quando hanno aperto hanno notato che non occorreva alcuna misura particolare. Ma intanto si erano attivati per qualsiasi evenienza». Ci sono stati problemi per i suoi figli? Come stanno ora? «I piccoletti hanno un po’ sofferto: la bambina piccola è quella che ha sofferto dentro, il maschietto invece ha sofferto in un secondo momento. Sono stabilizzati, nella loro situazione ovviamente di prematurità, ma sono stabilizzati. Questa è la parte di competenza di neonatologia e terapia intensiva, di cui non si può dire assolutamente nulla, per carità. Bravissimi. I medici sono stati molto chiari e attenti nel dirci come procedono le e come stanno i bambini. Per loro sono a posto, semplicemente devono finire di formarsi, fare il corso che hanno svolto fino a 32 settimane, arrivando a 36. Ora è come se fossero ancora nel pancione». Quanto dovrà attendere ancora, prima di poterli abbracciare? «I bambini resteranno lì per un mesetto almeno. È un po’ stressante: non riesco a muovermi ancora perfettamente con i punti, devo farmi accompagnare ed è abbastanza complicato a livello logistico. Me li hanno fatti anche toccare, nell’oblò, ma non me la sento di andare oltre. Tipo prenderli in braccio no, impossibile. Il primo giorno non li ho nemmeno visti, li ho visti il giorno dopo perché ero in post-operatorio. Attenderò un mesetto e mezzo per il primo momento di contatto». Intende rivalersi sulla struttura di Napoli? «Devo sicuramente contattarli, perché non mi hanno spiegato bene la situazione. Non so neanche se si vedesse che ci fossero problemi. Non intendo rivalermi, non ne ho la forza: Implicherebbe poi un altro impegno che non posso profondere. Se devo raccomandarlo, però, non li raccomanderò mai. Non li consiglierei mai a nessuno».