La Cgil Salerno e la Filt Cgil Salerno hanno lanciato un avvertimento categorico e senza precedenti: il porto di Salerno non diventerà una piattaforma logistica di guerra. In un comunicato congiunto di grande impatto, le due sigle sindacali hanno espresso una ferma opposizione all’utilizzo dello scalo campano per il transito e lo smistamento di materiali bellici, richiamando tutti gli attori portuali, dai lavoratori alle autorità di gestione, a un dovere etico di pace e responsabilità sociale. La dichiarazione è perentoria: “I porti non diventino piattaforme logistiche di guerra: dal porto di Salerno non partiranno armi”. La presa di posizione si inserisce in un dibattito nazionale e internazionale più ampio, che vede i portuali italiani da mesi in prima linea nella mobilitazione contro l’alimentazione dei conflitti attraverso le infrastrutture civili. Per Cgil e Filt Cgil, le aree portuali devono rimanere dedicate esclusivamente allo sviluppo economico, all’occupazione e alla vita delle comunità, e non devono in alcun modo sostenere la “filiera della guerra”. La forza della mobilitazione annunciata risiede nella coscienza dei lavoratori. Gerardo Arpino, segretario generale della Filt Cgil Salerno, ha chiarito che il rifiuto di movimentare carichi bellici non è solo un diritto, ma un dovere per chi opera nello scalo. “Dal nostro porto non partiranno armi”, ha ribadito con enfasi Arpino. La linea operativa è chiara: “Qualora si presentassero navi con materiale bellico, i nostri iscritti e le nostre iscritte si asterranno dalle operazioni”. Questo rifiuto individuale e collettivo è definito come un “atto di coscienza, di dignità e di responsabilità sociale”, ponendo il sindacato e i lavoratori come sentinelle etiche contro l’uso militare del porto commerciale. La posizione è stata immediatamente avallata dal segretario generale della Cgil Salerno, Antonio Apadula, che ha spostato l’attenzione sulla funzione sociale del lavoro stesso. Secondo Apadula, “Il lavoro deve costruire futuro, non alimentare guerre”. Il porto di Salerno è definito una “risorsa per il territorio” e deve tassativamente restare uno “spazio di pace e di commercio, non un corridoio di morte”. La ferma convinzione del sindacato è che non ci possa essere alcuna eccezione a questa regola morale, definendo la propria posizione come “chiara e non ammette eccezioni”. L’integrità dello scalo come luogo di scambio pacifico e di opportunità lavorative è quindi in gioco. Il comunicato salernitano non è solo una protesta, ma un forte appello a una responsabilità condivisa. Richiamando la denuncia già avanzata dalla Filt Cgil nazionale sui portuali come “punta avanzata del movimento” contro i massacri in corso, con un esplicito riferimento al “genocidio in Palestina”, i sindacati di Salerno sottolineano che “questo carico non può restare solo sulle spalle dei lavoratori”. L’invito all’azione è rivolto con decisione a tutti coloro che hanno il potere decisionale e gestionale sull’infrastruttura. Devono agire per impedire che i porti italiani si trasformino nella “piattaforma logistica del massacro del popolo palestinese”. Il coraggio richiesto dalla “situazione internazionale” deve essere dimostrato da chi amministra i porti, da chi gestisce i terminal e da tutte le imprese che operano negli scali. La Cgil e la Filt Cgil Salerno chiedono una partecipazione attiva e istituzionale per difendere il porto non solo come un luogo di lavoro, ma come un presidio di pace, lavoro e dignità. La mobilitazione del 26 settembre non rappresenta solo una minaccia di astensione dalle operazioni, ma lancia una sfida di portata politica ed etica: il porto di Salerno deve scegliere da che parte stare, e per i sindacati la scelta è inequivocabile, a favore della pace e contro la catena di approvvigionamento bellico.





