di Michelangelo Russo
Il Comitato che si è formato per il recupero del parcheggio di Foce Irno sta preparando azioni legali che preludono, in primis, alla presentazione di un’interrogazione parlamentare sull’intera vicenda. Nel frattempo, dalle carte ufficiali relative all’iter della compravendita tra Comune e Società Alberghiera acquirente, emergono dati che, stando al tenore letterale degli stessi documenti, pongono legittimi interrogativi sulla consistenza legale di quanto contrattualizzato negli accordi. Se fondate, allora, le doglianze del Comitato, il Comune si troverà a dare serie e motivate risposte chiarificatrici su quanto accaduto. Ma partiamo con ordine: il 3 agosto 1995 il comune di Salerno acquista dall’ Italcementi l’intera area dell’ex Cementificio per la cifra di 487 milioni di lire di allora. Corrispondono, oggi, a circa 500 mila euro, compresa rivalutazione monetaria. Più o meno, il prezzo, al tempo, di un singolo appartamento a Corso Garibaldi, che, in buone condizioni, si vendeva sui 450 milioni di lire. Quindi il Comune compra, a quattro soldi, un’area di migliaia di metri quadrati a centro città. Perché il prezzo è così misero? Qua sta il punto: Italcementi si impegna a vendere a prezzo stracciato perché il Comune si impegna, dal canto suo, a mantenere l’area (per sempre, ovviamente) a destinazione urbanistica di pubblica utilità come verde pubblico e parcheggi, destinazione urbanistica peraltro già in vigore al momento della vendita. Italcementi del resto non fa un regalo al Comune perché, dalla somma del contributo statale che sta ricevendo per la delocalizzazione dell’impianto a Fuorni, verrà defalcato il prezzo di vendita dell’area di Foce Irno. In altre parole, posto che la cifra del contributo è stata già stabilita, quello che il Comune mi dà di meno nella vendita me lo prendo di più dallo Stato, che altrimenti mi darebbe di meno. L’accordo va bene sia la Comune che ad Italcementi, tanto comunque, alla fine, paga Pantalone. L’accordo del 3.8.1995 così è perfetto e pienamente giustificato dalla destinazione definitiva ad area pubblica. La sacralità dell’impegno in tal senso è sancita dalle seguenti parole scritte nel contratto: “il mantenimento di detta destinazione è considerato dalle parti elemento essenziale per la formazione delle rispettive volontà negoziali”. Capito? Vuol dire che mai più il Comune può cambiare la destinazione urbanistica a verde e parcheggi, se no il contratto viene meno. E si capisce perché: perché il prezzo di vendita sarebbe, se no a dir poco ridicolo, e non credibile. Ma il Comune trae anche un beneficio ulteriore. Proprio perché ha concordato la destinazione pubblica del terreno (per sempre!), non paga allo Stato, il buon Pantalone, il prezzo dell’iva sull’acquisto, cioè 48 mila euro. Lo autorizza a ciò la legge. Tutto a posto. Poi arriva la cessione di gran parte dell’area al Grande Albergo. Ma il Comune si giustifica dietro la cessione non del suolo, che non viene venduto, ma dietro la concessione dell’area di sedime per 99 anni, al prezzo di una congrua somma di canone annuale. Ma tutto il resto dell’area rimane parcheggio. In apparenza, il contratto del 1995 non sarebbe ancora del tutto violato. Ma lasciamo quindi da parte questa vecchia faccenda del Grande Albergo. Dove però le cose si complicano è con la stipula della vendita di Foce Irno per 12 milioni e trecentomila euro. E qui la rottura del contratto è eclatante! L’area viene addirittura venduta per alberghi e centri direzionali a un privato, con un indice di fabbricabilità mostruoso. Nel frattempo, il Comune ha cambiato la destinazione urbanistica con decisione autonoma, senza ricontrattualizzare la cosa con Italcementi. E come faceva a far digerire la cosa all’altro contraente, visto il prezzo favoloso di circa 100 volte, pagato per una area piccola rispetto ai quattro soldi pagati per tutta l’area nel 1995? Andava a finire che l’Italcementi, se avesse ricevuto una somma risarcitoria per differenza prezzo, doveva poi restituirla a Pantalone, lo Stato. Insomma, un pasticcio incredibile. E allora, il Comune va a vanti, zitto e muto. Sperando, forse, nel decorso del tempo, Crescent insegna. Ma che può dire il Comune? Che la sua decisione di cambiare la destinazione urbanistica dell’area è stata fatta nel nome di un interesse pubblico, per cui il contratto del 1995 è ormai superato? Eh, no! Non è così, una cosa è il diritto amministrativo. E un’altra è il diritto civile. Il contratto del 1995 è stato violato, e Italcementi potrebbe benissimo chiedere l’annullamento, con richiesta di danni. Ma purtroppo per il Comune, non può sperare di cavarsela con un’annosissima causa civile soltanto. Se il contratto è stato violato, e il Comune ha guadagnato 12 milioni di euro non previsti, ecco che salta fuori lo Stato. Che logicamente può raffigurarsi una truffa a suo danno perpetrata con l’ultima vendita. Dove peraltro il notaio rogante, qualche mese fa, ha raccolto la dichiarazione del Comune che l’area venduta “è priva di vincoli”. Affermazione non veritiera, perché il vincolo contrattuale con Italcementi non è morto affatto. Né l’ha cancellato la diversa destinazione urbanistica fatta di recente dal Comune. Quello è un atto autonomo che non può cancellare il vincolo contrattuale civile. E cambiare la destinazione urbanistica non significava cambiarla in concreto, con fatti concludenti; il parcheggio poteva rimanere in proprietà al Comune, magari interrato e con la costruzione di giardini pensili. No! È proprio la vendita a privati che ha segnato la rottura. E il Comune ha dichiarato che non esistevano vincoli! Le dichiarazioni menzognere al notaio, secondo legge, comportano di norma la violazione dell’art. 483 c.p. Che, qualora fosse giudicata esistente nella sede naturale, renderebbe nullo il contratto per violazione di norma imperativa. Senza parlare del problema della ipotizzabile truffa allo Stato, per quanto detto prima. E ipotizzabile, se le cose stanno così, è pure un sequestro giudiziario delle carte del PUA in formazione negli uffici comunali, finalizzato al permesso a costruire. Buonanotte, allora! Sarebbe bene, allora, che qualcuno dell’Amministrazione Comunale chiarisse pubblicamente questi interrogativi, dando spiegazioni tecniche ai salernitani, e non slogan di propaganda. Altrimenti, la faccenda, come abbiamo cercato di spiegare, rischia di complicarsi.