Rigoletto e il mantello maledetto - Le Cronache
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Rigoletto e il mantello maledetto

Rigoletto e il mantello maledetto

di Olga Chieffi

Sarà la categoria del racconto ad entrare in scena stasera, alle ore 21, sul palcoscenico del teatro Verdi di Salerno, che condurrà ad una affabulazione totale, da cui rimarranno escluse le zone morte; l’attacco del Rigoletto, al levar del sipario è una prova non più opinabile di tal categoria: si possono scambiare più per recitativi le confidenze del manesco Duca, che avrà la voce del giovane ma già affermato tenore, Antonio Poli, a Matteo Borsa? Impossibile, perché tutto viene coinvolto e mescolato nella fluenza del dialogo, senza mezzi termini; e la cosa ancor più lampante è che questo maturare del recitativo non avviene in danno del pezzo chiuso, ma proprio per conferirgli un progresso di verità. Primo titolo della cosiddetta “trilogia popolare”, l’opera segna una svolta epocale nell’evoluzione artistica di Verdi: con Rigoletto si conclude il lungo periodo degli «anni di galera», che fino al 1850 lo vide sfornare tra originali e rifacimenti ben 16 opere; lo stesso personaggio di Rigoletto, buffone ma triste, rancoroso e provocatore, ma dolorosamente afflitto, perché segnato dalla natura, il diverso, il refuse, dipinto da Verdi in tutto lo spessore tragico della sua condizione umana, rappresenta una vistosa eccezione in un panorama operistico che distingueva, con molto maggior rigore, fra misera abiezione, da un lato, e immacolata virtù dall’altro. Proprio dalla sentita necessità di potenziare la caratterizzazione del personaggio principale, indagandone gli opposti lati di una personalità contrastata e, proprio in questo, così umana, muove il rinnovamento operato dalla drammaturgia verdiana intorno a convenzioni radicate: «Cortigiani, vil razza dannata» è l’esempio memorabile che sancisce la nascita di una nuova voce per il melodramma italiano, quella “spinta” del baritono, che qui a Salerno sarà quella potente del mongolo Amartvshin Enkhbat,che sarà chiamato per antonomasia verdiano, dal potente declamato, per il quale non regge più la tradizionale definizione di “basso cantante”. La stessa distribuzione dei ruoli fra prime parti, comprimari e ruoli secondari non rispetta le “convenienze” teatrali; sul piano della costruzione formale, inoltre, le scene del terzo atto realizzano un originalissimo esempio di dissoluzione e ricomposizione della tradizionale sequenza dei tempi nei numeri d’opera, confermando la priorità conferita da Verdi alla ricerca drammatica su condizionamenti d’altro genere. Riccardo Canessa ha scelto consapevolmente di racchiudere la maledizione in un mantello, che passerà dalle spalle di Monterone a quelle di Rigoletto, una maledizione che non va attribuita, quindi, a una fatalità, ma ai personaggi stessi del dramma che ne hanno così tutta la responsabilità. Verdi porta i suoi personaggi ad accettare il loro destino, non solamente a subirlo, e ciò è vero tanto per Rigoletto, quanto per sua figlia Gilda, ruolo affidato a Gilda Fiume. Rigoletto prenderà coscienza nel corso dell’opera che la sorte avversa non gli è stata imposta dall’esterno, ma che è stato lui a provocarla e a realizzarla. Anche Gilda perde la sua apparenza di vittima inerme appena ci si renderà conto che il suo sacrificio è il punto culminante di una ricerca d’identità. Tutta la trama verrà saldamente riassunta nella forma classica del quartetto che rispetta i canoni estetici del primo Romanticismo, ancora osservante delle forme classiche. Dall’incontro del libretto e la tecnica musicale adottata, che va quasi per luoghi sonori, nasce un qualcosa di scenico e visivo raro, nella sua evidenza, anche perché composto in alcuni casi solo di suoni. Non facile il compito di Daniel Oren, alla testa dell’Orchestra Filarmonica Salernitana, che dovrà coordinare buca palco e retro palco con il coro, preparato da Tiziana Carlini e banda di palcoscenico. A completamento del cast, lo Sparafucile di Carlo Striuli, la Maddalena di Natalia Verniol, la Giovanna di Victoria Shereshevskaya, il conte di Monterone di Antonio Mazza, il Marullo di Roberto Calamo, il Matteo Borsa di Enzo Peroni, la contessa di Ceprano e un paggio di Miriam Artiaco, il conte di Ceprano di Alessandro Menduto. Si replica fino al 30 dicembre.