L’Ensemble lirico Italiano diretto da Francesco D’Arcangelo con solista Danilo Squitieri i protagonisti della serata. Atmosfera sonora d’eccezione in San Giorgio per il confronto tra Haydn e Shoenberg, con il I concerto in Do Hob.XVII per violoncello e Verklarte Nacht
Di Olga Chieffi
Serata familiare, tra gli stucchi barocchi della chiesa di San Giorgio, per il secondo appuntamento della primavera di Salerno Classica, che ha presentato una scelta davvero raffinata, una riflessione sulla prima e la seconda scuola viennese in un confronto tra il Franz Joseph Haydn del I concerto in Do Hob.XVII per violoncello e l’Arnold Shoenberg di Verklarte Nacht. Sul podio dell’Ensemble lirico Italiano che ha avuto quale sensibile e consapevole Konzertmeister, la violinista Daniela Cammarano, il violoncellista Francesco D’Arcangelo, il quale ha ospitato quale solista Danilo Squitieri, per la pagina di Haydn, autore che abbiamo ascoltato in città, da altri due prestigiosi cellisti, Giovanni Sollima (il concerto n°2) e Raffaella Cardaropoli (concerto n°1). Formazione, solista e direttore sono riusciti a creare una vera e propria bolla iridescente di suono, rivelando le possibilità straordinarie di canto, in una raffinata ricerca di sonorità adatte all’atmosfera haydniana, controllando, in particolare nei pianissimo, la quantità di armonici, per cui il suono si è espanso anziché schiacciarsi e decadere, creato un terreno pudico e fecondo, affinché la voce preziosa del cello si sia potuta esprimere al meglio, ricamando questo grande catalogo del canto, con quel suo Adagio straordinariamente liquido e misterioso. E’ senza dubbio il suono italiano del violoncello quello di Danilo Squitieri, che ha dimostrato con questa esecuzione, per intero l’autentico amore che il violoncellista nutre per il suo strumento. Un amore espresso attraverso l’instancabile ricerca di mirati pesi sonori, per schizzare queste pagine. Un gioco di specchi che si è concretizzato in un miracoloso incremento sonoro e interpretativo in particolare nell’Adagio, che ha conservato la sincerità e l’ottimismo del movimento di apertura con un’ unica increspatura drammatica in cui sono state evidenziate le doti di espressività e cantabilità. Finale da tour de force, ma il cello solista, che ha calibrato arcate e dosato il vibrato per non tradire le linee classiche e Francesco D’Arcangelo che ha sposa empaticamente l’intenzione, riconfermando di aver perfettamente assimilato il gusto e la prassi del secondo Settecento e di saperli porgere con preziosa eleganza. L’articolazione dell’Ensemble Lirico Italiano è risultata chiara e compatta, il suono leggero, dalla vibrazione contenuta al punto giusto, innegabilmente elegante, affinchè la pagina nel suo multiforme fluire fosse restituita nella sua “purezza” all’ esigente pubblico in sala. Un vero e proprio dono musicale è stata l’esecuzione di Verklärte Nacht composta originariamente per sestetto d’archi da Arnold Schönberg, ultimato nel dicembre del 1899, poi trascritta per orchestra dallo stesso autore nel 1917, versione scelta da Francesco D’Arcangelo e dall’ensemble composto da Daniela Cammarano, Ilario Ruopolo, Giacomo Mirra, Michela Marchiana, Ledia Nikolla, primi violini, Mattia Cuccillato, Eleonora Amato, Valeria La Vaccara e Sonia Tramonto, secondi violini, Piero Massa, Carmine Caniani, Giuseppina Niglio e Carmine Matino viole, Cristiana Tortora, Veronica Fabbri, Alfredo Pirone, celli, Luigi Lamberti e Giuseppe Di Martino, contrabbassi. Un confronto quello con Haydn da cui è emerso che la modernità della musica schoenbergiana non passa soltanto per le vie della pura Dodecafonia, ma attraverso un momento decisivo anche delle forme musicali. Il sontuoso, la sensualità dell’armonia tradizionale sembrano esigere qui un controllo più rigoroso dei propri spazi: da una quasi irriferibile e lirica verticalità, si passa a procedimenti orizzontali, anche lineari. Schoenberg insiste qui con bella determinazione a comporre musica che rifiuti elementi occulti, subliminali: la sua tempestosa chiarezza, mette i musicisti in scacco, che devono fare i conti con modalità tecniche e strutturali che non posso essere liquidate con facilità. Francesco D’Arcangelo e il primo violino hanno chiaramente un’affinità con questo lavoro e si è manifestata in ogni battuta; senza nulla di freddo o analitico nel loro approccio: hanno trovato il giusto equilibrio ombra e luce, così che il modo di suonare è risultato altamente romantico, con quel tocco di modernità, di rottura, impreziosito da quell’indefinibile senso di unità organica, che sfugge a qualche direttore troppo preoccupato dalla creazione di zone e climax particolari. Applausi convinti per tutti e appuntamento all’ 8 luglio, preludio d’estate.