Questo pomeriggio, alle ore 17, negli spazi della libreria Imagine’s Book di Salerno, Guglielmo Scarlato, Francesco Forte, Pasquale De Cristofaro ed Emanuele Esposito “dialogheranno” su “Il corpo di Moro” di Rino Mele
Di OLGA CHIEFFI
A quarant’anni dall’assassinio dello statista è tornato sugli scaffali delle librerie “Il corpo di Moro”, di Rino Mele, Oèdipus, 2018. Dopo Aldo Masullo, Pino Cantillo e Alfonso Andria, ne parleranno, questo pomeriggio con l’autore, alle ore 17, negli spazi familiari della libreria Ex Guida Imagine’s Book di Salerno, Guglielmo Scarlato e l’editore Francesco Forte, coordinati Pasquale De Cristofaro, che non disdegnerà di regalare alla platea qualche lettura. La prima edizione de ‘Il corpo di Moro’ è del 2001, edizioni 10/17, ed ebbe il Primo premio ‘Deltapoesia’. In questa nuova edizione, variazioni in alcune delle 18 stazioni del poemetto e l’ordine mutato per quattro di esse. Vicenda dolorosa di Aldo Moro e dei cinquantacinque giorni che cambiarono la nostra storia repubblicana è di grande importanza e luce personale tornare a riflettere su quegli scritti trasposti in poesia che ci descrivono la “prigione del popolo”. Le lettere di Moro, che hanno ispirato il poemetto, sono testi che insieme al cosiddetto Memoriale, hanno saputo animare il dibattito ad ogni livello, includendo tutte le gradazioni dell’interpretazione, compresa tra gli estremi di chi ha voluto trovarvi le chiavi di decifrazione del decadimento e della corruttela del nostro sistema politico e chi ha voluto confinare le carte di Moro a simbolo drammatico ma neutro della deriva violenta del decennio degli Anni di piombo. Eppure, al di là dell’agone della lettura storico-politica, è possibile rintracciare nel poemetto di Mele, con grande emozione ed impareggiabile concretezza, la statura dell’uomo e del cristiano Moro, dove il “prigioniero del popolo” viene sorpreso nel dialogo tenero e carezzevole con i familiari negati, in primis con l’adorata moglie Noretta. E’ di lì, da quelle immagini che si eleva la poesia di Rino Mele, poesia civile che trasuda immagini di forte commozione e umanità, che forse più di tutti i martirologi postumi riesce a rendere giustizia e onore al lascito, comunicando il valore immenso delle piccole cose in un momento di buio totale. Non di meno il pensiero per i figli fino al colloquio d’amore tra Moro e la famiglia che aggiunge il vertice della tragica dignità. Si parla del dolore di un uomo comune, non dell’eclisse di potere di un uomo politico. Si racconta l’inaspettato calvario di un “uomo umano”, con lo slancio intellettuale e la tenerezza delle piccole cose familiari, ma anche con la rabbia e il disincanto di chi si prepara al sacrificio. La musica penetra la nostra carne e le nostre ossa: biblicamente le ossa sono come l’ anima: non si dissolvono ma si pietrificano come segno dell’ attesa che su esse tornino i tendini e i muscoli e la pelle (visione di Ezechiele). La musica di Johann Sebastian Bach, che sarà evocata dal violoncello di Emanuele Esposito, è come un anticipo di questa realtà finale: sulla musica pietrificata delle nostre ossa sepolte comincia già ad elevarsi l’arco costruendo volte e guglie dell’ ultima e definitiva cattedrale.