di Primo Carbone
Con il tempo imparai a conoscere i “maggiorenti” del partito e loro mi tenevano in gran conto poiché mi vedevano “deciso” e il coraggio non mi mancava. Non facevano mancare la loro presenza e ci incoraggiavano nel perseverare nella lotta che da giovani, certamente in un contesto diverso, la guerra, avevano vissuto fino in fondo senza tradire il loro giuramento per l’onore della Patria. Il primo che conobbi fu zii Ventura, un vecchietto che era addetto ad aprire e chiudere la sede. Lui smilzo, piccoletto, un po’ trasandato, riusciva a vivere bene con noi giovani. Da ragazzo, mi dissero, che era stato un Capo Manipolo delle Camice Nere a Salerno. Era stato un duro. Era uno di quelli che le botte le aveva date veramente durante l’ascesa del Fascismo in città, negli anni venti. Aveva combattuto nelle trincee del Carso, durante la prima Guerra Mondiale. Tutti gli volevano un gran bene e lui con le sue battutine spiritose ci esortava ad essere prudenti. Fra i dirigenti più importanti ed impegnati a via Diaz c’era l’avv Galdi, un galantuomo, l’Avv.Palumbo e l’avv. Tedesco, l’avv. Gassani e l’avv. Giacomo Mele, il dott. Di Marino, il prof. De Fazio, Paravia (quello degli ascensori), Santorelli (che aveva una rivendita di bomboniere sul corso), Spartaco, Gennaro Persico ed altri. In via Diaz c’era una gioventù fantastica. Forte, pulita, orgogliosa della propria esistenza, della propria identità e della Patria. Il Tricolore garriva nelle nostre manifestazioni in risposta alle rosse bandiere dei comunisti che volevano portarci in quell’Europa, oltre la “Cortina di Ferro”, dove non c’era Patria, non c’era Famiglia, non c’era Dio. Anche nel modo di vestire ci differenziavamo dai “comunisti”. Noi con i pantaloni a zampa di elefante, stivaletti a punta, maglioncino nero e camicia militare, loro con l’eschimo jans trasandati e spinello. Noi figli di operai, di impiegati, loro i figli di “papà”, i più vivevano tra Sala Abbagnano ed il C.so Vittorio Emanuele. Arrivarono le elezioni in Sicilia del 1971, il 13 Giugno, il MSI aveva raggiunto per la prima volta una percentuale insperata: il 17% dei consensi. Una cosa eccezionale. Gli italiani con quel voto vollero dire che non accettavano le idee d’oltralpe. Quelle della rivoluzione del “68”. In Francia, il Maresciallo De Gaulle portando in piazza oltre un milione di francesi aveva spento una miccia sovversiva che si era propagata nell’Europa libera. In Italia una sinistra più radicata, con una Democrazia Cristiana corrotta e connivente nell’antifascismo, aveva lasciato che la nostra Patria fosse pervasa da scioperi a catena, disordini di piazza, occupazioni di fabbriche , di università e scuole. L’Italia era nel caos. Adriano Celentano in opposizione a questo stato di fatto cantò a Sanremo e vinse con la canzone intitolata: “CHI NON LAVORA NON FA L’AMORE”. In risposta alla rabbia della gente che con duri sacrifici avevano ricostruito la loro terra, dopo i disastri della guerra persa, volendo usufruire di quel “miracolo economico” di cui erano stati gli artefici, la Sinistra e la Democrazia Cristiana risposero con la “STRATEGIA DELLA TENSIONE” puntando il dito contro i “Fascisti” che volevano intaccare le libertà democratiche frutto della lotta antifascista. Gli scontri si facevano sempre più duri in tutta Italia. Questi tragici fatti toccarono anche Salerno. Arrivò inesorabile quel tragico 7 Luglio 1972. Carlo Falvella ,vice segretario del Fronte Universitario Unità Nazionale (FUAN ) in un vile agguato fu pugnalato a morte, mentre rincasava con Giovanni che rimase gravemente ferito. Fu il primo omicidio politico in Italia, maturato nella “stagione delle tensioni sociali”. Era il mese di giugno del 1972, da poco si erano chiuse le scuole e, mentre alcuni si erano rifugiati sulle spiagge giù al porto, fra il lido “ Savoia” e l’acqua del “fico”, molti di noi si preparavano agli esami di stato o ai primi esami universitari. Insieme con noi c’era Carlo, che riusciva, con il suo modo di comportarsi concreto e leale, a fare gruppo. Non era un “capo”, era uno di noi, certamente il migliore tra noi. Condividevamo gli stessi ideali: l’Onore, la Famiglia, la Patria. Vivevamo un periodo Drammatico ed Esaltante. Quel lontano mese di giugno, era il culmine di un anno di lotte politiche e, a Salerno, si festeggiavano le prime vittorie elettorali dell’allora neonata Destra Nazionale. Si pensò ad un’affissione massiccia di manifesti per le strade della città; ma non c’era denaro e come sempre i giovani del Fronte della Gioventù si offrirono per tale incarico. Furono formati alcuni gruppi per “coprire” meglio la città; si sapeva che il compito era difficile perché c’erano state delle scaramucce durante la giornata. Infatti un gruppo di studenti del F.d.G e del FUAN-Azione Universitaria, Carlo era con loro, che stavano affiggendo dei manifesti nel quartiere di Torrione, nei pressi della Camera del Lavoro, si vide aggredito da un foltissimo gruppo di persone più che mature e solo l’intervento di un gruppo di camerati di Cava dei Tirreni, alcuni erano degli esperti in arti marziali, evitò il “peggio “ mettendo in fuga le “orde” degli aggressori. In quell’occasione solo un giovane studente fu ferito al volto. Eravamo tutti giovani e la sera ci ritrovavamo sul lungomare. I “comunisti “ si ritrovavano, solitamente, davanti al bar Nettuno mentre noi di “Destra” c’incontravamo davanti al bar Nazionale. Ci dividevano poche decine di metri ma per tutti, quelle due aiuole erano un limite invalicabile. Era stato sempre così, ma non in quelle sere e con quel clima di tensione. Un tardo pomeriggio, un foltissimo gruppo di giovani di sinistra fece un presidio davanti al bar Nettuno; la tensione era moto alta e si preferì momentaneamente lasciare il campo. Un giovane di “Destra” inconsapevole del fatto, Ciro, era solo sul lungomare: fu circondato e picchiato selvaggiamente e riportò una brutta ferita alla testa. In pochi minuti tutto il “mondo giovanile di Destra” seppe dell’aggressione e si ritrovò in via Diaz (la sede del F.d.G.). Eravamo indignati e si voleva dare una risposta a quella vile aggressione, ma i dirigenti del Fronte riuscirono a calmare gli animi. Sembrava che l’episodio fosse finito così, ma un gruppetto di giovani camerati (sei o sette) non volle sentire ragioni. Si allontanarono e non ebbero remore ad “attaccare” un numero tanto numeroso (80-100) di avversari. Seguì uno scontro furibondo che fortunatamente non portò gravi conseguenze, un paio di rossi all’ospedale con qualche ammaccatura e qualche punto di sutura, i suppellettili del bar Nettuno (tavolini,sedie ed ombrelloni) distrutti. Carlo era fra quelli che sempre cercava di trovare delle risposte politiche alle aggressioni che erano perpetrate nei nostri confronti: non era un vile, ci diceva che dovevamo rispondere in modo politico alle prepotenze, denunciando all’opinione pubblica ogni provocazione e noi lo ascoltavamo perché sapevamo che non ci avrebbe mai lasciato soli nel pericolo. Quella sera di Luglio, infatti, quando stava rincasando, il suo amico fu aggredito e ferito a colpi di pugnale ed egli non esitò a frapporsi fra lui e i suoi aggressori, salvò il suo amico, lui ricevette due pugnalate al cuore e morì. L’avrebbe fatto per tutti noi. Chissà se noi l’avremmo fatto per Lui. Carlo Falvella, un ragazzo normale che in un momento particolare si comportò da Eroe. Nei giorni successivi all’omicidio di Carlo ci fu una mobilitazione massiccia di tutti militanti sia del FdG, del FUAN sia del partito il MSI-DN. Ci fu una caccia al comunista inesorabile. Tuttavia non era indignata solo la nostra parte politica per il grave fatto di sangue, ma la gran parte della città. Ricordo un episodio in particolare. Si sostava sul lungomare, ad un tratto qualcuno gridò a gran voce: “c’è un comunista che sta passeggiando …”. In un attimo gran parte dei frequentatori del lungomare, gente che neanche conoscevamo, in una folle corsa di sdegno, cercarono il linciaggio. Ricordo che il malcapitato riuscì a nascondersi in un locale che si affacciava sulla strada, il Piper. Così la scampò. Intanto, in Italia, la “Strategia della Tensione” orchestrata ad arte incominciò a dare i suoi malefici frutti. Gli attentati ai treni, e per quanto ci riguardava incominciò la caccia al Fascista. Furano affissi ai muri delle città manifesti con il titolo: “UCCIDERE UN FASCISTA NON è REATO, compagno Marini sarai vendicato”. Ed ecco gli agguati, gli omicidi, e la repressione della polizia al servizio della Democrazia democratica ed antifascista: UGO VENTURINI (Genova 18-4-70), CARLO FALVELLA (Salerno 7-7-72), STEFANO e VIRGILIO MATTEI (Roma 16-4-73), GIUSEPPE SANTOSTEFANO (Reggio Calabria 31-7-73), MANUELE ZILLI (Pavia 3-11-73), GIUSEPPE MAZZOLA e GRAZIANO GIRALUCCI (Padova 17-6-74), MIKIS MANTAKAS (Roma 28-2-75), SERGIO RAMELLI (Milano 29-4-75), MARIO ZICCHIERI (Roma 29-4-75), ENRICO PEDENOVI (Milano 29-4-76), ANGELO PISTOIESI (Roma 28-12-77), -FRANCO BIGONZETTI, FRANCESCO CIAVATTA e STEFANO RECCHIONI (Roma 7-1-78), FRANCO ANSELMI (Roma 6-3-78), RICCARDO MINETTI (Roma 20-4-78), ALBERTO GIAQUINTO (Roma 10-1-79), STEFANO CECCHETTI (Roma 10-1-79), FRANCESCO CECCHIN (Roma 29-5-79), ANGELO MANCIA (Roma 12-3-80), NANNI DE ANGELIS (Roma 5-10-80), ALESSANDRO ALIBRANDI (Roma 5-12-81), GIORGIO VALE (Roma 5-5-82), PAOLO DI NELLA (Roma 2-2-83), VENTISEI MARTIRI DELLA LIBERTA’ Nei mesi successivi, all’omicidio di Carlo Falvella fu celebrato il processo ai suoi assassini colti sul fatto. Marini, Mastrogiavanni, e Scariati. Si parlò insistentemente anche di una donna che aveva partecipato all’aggressione, ma questo non fu provato. L’evento portò in città centinaia di anarchici e comunisti capeggiati dalla Franca Rame e dall’ex fascista, “repubblichino”, Dario Fo. Trovarono alloggio, presso l’edificio del Magistero in p.zza Malta, a poche decine di metri da via Diaz, dalla sede del F.d.G. In forze tentarono più volte di assaltare la “sezione”, ma la nostra presenza massiccia, anche se in numero minore, li respinse per più giorni. Si disse che questi “picchiatori” arrivati da tutte le città italiane, erano “mantenuti” in città con i fondi del “Soccorso rosso”; organizzazione comunista e anarchica che provvedeva alla difesa legale ( l’avv. Pecorella attualmente approdato alla corte di Berlusconi, era tra i più accaniti difensori degli assassini comunisti.) e a finanziare ogni sorta di scorribanda antifascista. La polizia e carabinieri erano “assenti”. In seguito a degli scontri, una notte i carabinieri, i “baschi neri”, assaltarono il F.d.G. in via Diaz e imprigionarono tutti i camerati che trovarono in sede. Arrivò una voce: la sentenza della Corte d’Assise avrebbe mandato in libertà tutti gli assassini di Carlo. Questo non poteva accadere. Ci fu uno sdegno generale e un gruppo di camerati, guidati da Gennaro Persico, scesero in piazza da via Diaz e diede l’assalto al Magistero. Ci furono degli scontri violentissimi. Per quanto ci dissero, i giudici in Corte di Assise per evitare una “Guerra Civile” in città e placare , se possibile, gli animi condannarono il Marini a sette anni di carcere. La vita di un giovane di diciannove anni, valeva sette anni di carcere. Questa era la giustizia dei tribunali italiani in quegli anni. Arrivò il referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio Il MSI DN unico movimento politico, si battè per l’abrogazione di questa legge disgregatrice della famiglia, primo baluardo da abbattere per l’attacco alla Società tradizionale. Giorgio Almirante, Segretario Nazionale del MSI Dn, scese anche a Salerno per sostenere il referendum. Ricordo con orgoglio che l’avv. Mele (il Federale), mi chiamò e volle che lo accompagnassi in un incontro privato che Almirante tenne in un convento Francescano a Cava dei Tirreni. Almirante parlò con un “provinciale” e chiese un sostegno concreto alla battaglia. La Chiesa , come sempre, ufficialmente assente in queste battaglie di valori, solo in alcuni suoi degni uomini seppe coniugare la coerenza della Dottrina di Cristo e del Vangelo. (2 continua)