
di Erika Noschese
La Corte Europea dei Diritti Umani ha emesso una sentenza che condanna l’Italia per non aver adottato misure adeguate a proteggere i residenti di un’area densamente popolata vicino a Salerno dall’inquinamento ambientale causato da una fonderia. I ricorrenti avevano lamentato la mancata predisposizione di un quadro legislativo efficace per prevenire gravi danni ambientali e la scelta delle autorità nazionali di consentire lo sviluppo residenziale nell’area nel 2006 senza implementare misure protettive contro l’esposizione prolungata all’inquinamento. La Corte ha riconosciuto che, sebbene la fonderia operasse nell’area industriale dal 1960, la decisione di destinare l’area a uso residenziale nel 2006 ha creato una situazione in cui le autorità erano consapevoli dei potenziali problemi ambientali derivanti dalle attività preesistenti. Nonostante un piano urbanistico che prevedeva il trasferimento dell’impianto, ciò non è mai avvenuto e l’area è stata comunque aperta all’edilizia residenziale, una scelta definita dai tribunali interni come “abbastanza sorprendente”. La Corte ha rilevato che, tra il 2008 e il 2016, la fonderia ha causato un grave inquinamento ambientale senza che i residenti fossero adeguatamente informati sui rischi. Perizie hanno dimostrato il superamento dei limiti di emissione di particolato e carenze significative nei sistemi di scarico idrico, gestione dei rifiuti ed emissioni atmosferiche dell’impianto. Procedimenti penali e amministrativi avevano già evidenziato emissioni illecite e inadeguatezze nei meccanismi di monitoraggio. La Corte ha espresso dubbi sull’efficacia del quadro normativo nazionale dell’epoca, considerando le modeste sanzioni pecuniarie inflitte per reati ambientali. Sebbene dal 2016 le autorità abbiano intrapreso azioni per riesaminare l’autorizzazione ambientale dell’impianto e imporre misure per ridurre l’inquinamento, la Corte ha espresso preoccupazione per il fatto che non sia stato dato sufficiente peso all’esposizione pregressa e ai danni alla salute già subiti dalla popolazione locale. Studi avevano infatti rilevato livelli elevati di metalli pesanti e maggiori tassi di morbilità tra i residenti. La Corte ha inoltre evidenziato come i limiti di emissione monitorati continuassero a fare riferimento a standard per zone industriali anziché residenziali. La Corte Europea dei Diritti Umani, dunque, ha ritenuto che l’Italia non abbia adempiuto al suo obbligo positivo di adottare tutte le misure necessarie per garantire un’effettiva protezione del diritto al rispetto della vita privata dei ricorrenti, almeno per il periodo 2008-2016. Pur riconoscendo gli sforzi compiuti successivamente, la Corte non si è convinta che sia stato raggiunto un giusto equilibrio tra l’interesse della collettività e il diritto dei residenti a non subire gravi danni ambientali. La Corte ha stabilito che la constatazione della violazione costituisce di per sé un risarcimento sufficiente per il danno non patrimoniale subito dai ricorrenti e ha riconosciuto loro un rimborso parziale per le spese legali sostenute. La richiesta di ulteriori misure generali per rimediare alla situazione è stata rimessa alla supervisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Gli avvocati Andrea Saccucci e Roberta Greco hanno così commentato la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: “Con sentenza del 6 maggio 2025 pronunciata sul ricorso n. 52854/18, L.F. e altri c Italia, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha accertato la violazione dell’art. 8 (“Diritto al rispetto della vita privata e familiare”) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu) in quanto le autorità italiane hanno omesso l’adozione delle misure necessarie ad assicurare la protezione effettiva dei cittadini residenti nei pressi dello stabilimento industriale “Fonderie Pisano”, situato nella Valle dell’Irno. Originariamente classificata come zona industriale nel 1963, l’area è stata successivamente destinata ad uso residenziale nel 2006, subordinatamente alla delocalizzazione della fonderia, che tuttavia non è mai avvenuta. L’impianto ha continuato ad operare, nonostante il nuovo assetto urbanistico e le evidenze scientifiche che ne hanno confermato l’impatto nocivo sull’ambiente e sulla salute della popolazione. In particolare, lo studio epidemiologico SPES (‘Studio di Esposizione nella Popolazione Suscettibile’) e le analisi condotte sui residenti hanno rilevato concentrazioni di metalli pesanti notevolmente superiori alla media e hanno dimostrato la riconducibilità degli effetti dell’inquinamento sulla popolazione all’attività della fonderia. La Corte ha rilevato che tra il 2008 e il 2016 lo stabilimento ha prodotto gravi forme di inquinamento, senza che la popolazione interessata sia stata adeguatamente informata dei rischi connessi alla permanenza in quell’area. Inoltre, ha osservato che, nonostante la classificazione dell’area come urbana, tra il 2008 e il 2016 le autorità italiane non hanno adottato misure efficaci per tutelare il diritto dei ricorrenti al rispetto della vita privata. Con riguardo al periodo successivo al 2016, la Corte ha ritenuto che gli sforzi compiuti per ridurre l’impatto ambientale della fonderia siano stati insufficienti a compensare l’esposizione prolungata subita dalla popolazione locale. Ha pertanto concluso che le autorità italiane hanno mancato di operare un adeguato bilanciamento tra gli interessi in gioco, configurando una violazione degli obblighi positivi derivanti dall’art. 8 Cedu. La Corte ha quindi imposto allo Stato italiano l’obbligo di adottare misure generali volte a ripristinare, per quanto possibile, la situazione in cui i ricorrenti si sarebbero trovati se la violazione non si fosse verificata, suggerendo, tra le possibili misure, non solo un’efficace gestione dei rischi ambientali legati all’attività della fonderia, ma anche la sua delocalizzazione, come già previsto dal piano urbanistico comunale del 2006. Esprimiamo soddisfazione per la sentenza, pur evidenziando le incongruenze rispetto ad un altro recente caso di inquinamento ambientale relativo alla c.d. Terra dei Fuochi in cui la Corte europea ha accertato la violazione del diritto alla vita ex art. 2 CEDU. Auspicano i legali che tali differenze possano, in un prossimo futuro, essere superate”. Così ha commentato, invece, Lorenzo Forte, presidente dell’associazione Salute e Vita: “Oggi, per la nostra comunità, ovvero quella di Salerno ed in particolar modo della Valle dell’Irno, è una giornata epocale. La sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo mette la parola fine all’accertamento della verità storica sul disastro ambientale e sulla devastazione causata dall’inquinamento delle Fonderie Pisano. Siamo soddisfatti di questa sentenza, che condanna inequivocabilmente lo Stato italiano e tutti gli organi istituzionali responsabili, quali la Regione Campania, il Comune di Salerno e l’ASL, che avevano il potere, ma soprattutto il dovere, di tutelare l’articolo 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo: “Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”. Questa sentenza la dedichiamo in particolare ad alcuni defunti, come Antonella Todisco, Franco Calce, Vito Todisco e Palma Ferrara, tra i tanti morti ed ammalati di patologie tumorali, che vivevano nei pressi della fonderia e che non sono stati tutelati dallo Stato. Dedichiamo a loro, a queste vittime dell’inquinamento, questa sentenza storica e la dedichiamo anche, voglio sottolineare in maniera particolare, ad almeno 2 dei 153 ricorrenti che erano in vita nel 2019, quando hanno sottoscritto il ricorso, come il professor Pino Cantillo ed il signor Ugo Di Concilio, i quali denunciavano nelle loro abitazioni il lezzo nauseabondo delle Fonderie Pisano e l’inquinamento atmosferico a questo collegato. Questi attivisti non ci sono più, deceduti per patologie collegate all’inquinamento, ed oggi, all’arrivo di questa sentenza, non hanno potuto avere la soddisfazione di vedere i risultati raggiunti grazie anche alla loro battaglia per la vita, la salute e l’ambiente, per garantire anche alle future generazioni della Valle dell’Irno quell’articolo 8 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo, che sancisce il rispetto della propria vita privata e familiare”.