Litorali inquinati, fiumi avvelenati come pure e falde acquifere locali compromesse con un territorio in parte coperto da serre per la IV gamma (insalatine e rucola) e per l’altro dal mais per dar da mangiare alle bufale. La Piana del Sele è una fattoria globale, uno dei distretti produttivi dell’agroalimentare più in evoluzione non solo d’Italia tra i maggiori d’Europa, caso emblematico dei limiti e rischi di un modello produttivo che “spreme” molto l’ambiente. Le stime dicono che tra Eboli, Battipaglia e Pontecagnano il comparto “serre” sia già saturo al 70%. Invece verso Eboli, Altavilla Silentina, Albanella e Capaccio siano ben oltre i limiti della direttiva europea sui nitrati per quanto riguarda gli allevamenti bufalini. I numeri sono da record. Le quasi 20mila bufale di Altavilla sono inferiori solo alle 33mila di Capaccio. I fatturati sono in crescita: più del quindici per cento l’anno, oltre trecento milioni di fatturato solo per la IV gamma. Poca la terra. Meno di seimila ettari coltivati. Oltre tremila dei quali sotto serra. Poi qui c’è oltre il trenta per cento degli allevamenti campani, del latte e della mozzarella. Il prodotto vale qualcosa come 1,2 miliardi di euro di fatturato. Un vero e proprio boom tutto concentrato negli ultimi 25 anni. se si pensa che in Campania siamo passati da 115 mila a 494 mila tonnellate di mozzarella, con crescita annua del sei per cento. L’economia tira ma a fronte di un costo ambientale complessivo assai pesante. In 11 comuni della Piana del Sele si registra un livello di vulnerabilità da nitrati dei terreni agricoli con conseguente compromissione delle coltivazioni. La conseguenza è quella di andare a cadere sotto i limiti alla produzione stabiliti in sede europea con conseguente blocco sia delle produzioni serricole che degli allevamenti bufalini. I comuni interessati sono 11. NUMERI DA INCUBO. Bellizzi detiene il triste primato con il 100% del suolo interessato da inquinamento da nitrati, segue Pontecagnano con il 96%, Battipaglia con l’87%, Eboli 85%, Capaccio Paestum 72%, Serre 71%, Altavilla Silentina 53%, Albanella 49%, Montecorvino Pugliano 39%, Montecorvino Rovella 26%, Campagna 16%. Tale classificazione scaturisce dalla verifica della concentrazione dei nitrati nelle acque dolci e lo stato trofico delle acque dolci superficiali (periodo 2012 – 2015) e delle acque di transizione e delle acque marino-costiere. L’inquinamento da nitrati è l’ennesimo caso in cui il profitto prevale ancora sul futuro. Molteplici i fattori che determinano tale condizione: l’eccessiva fertilizzazione per garantire i raccolti elevati di cereali ed ortaggi (questi ultimi spesso coltivati in serra); lo spandimento sul terreno dei liquami derivanti dai grandi allevamenti zootecnici; le pratiche agricole pericolose, come quella di lasciare il suolo spoglio di vegetazione dopo che è stato trattato con i fertilizzanti: il dilavamento del suolo da parte delle acque meteoriche incrementa l’infiltrazione dei nitrati fissati alle particelle di suolo. Tale meccanismo provoca la contaminazione delle acque sotterranee e successivamente della qualità delle acque di balneazione.
COME SE NE ESCE? Con l’attuale piano di zonizzazione regionale attualmente in vigore, che delimita e circoscrive le aree in cui sversare i reflui zootecnici, gli allevatori della Piana del Sele si troveranno al cospetto di una drammatica scelta: individuare una nuova area nella quale trasferire i loro capi di allevamento oppure abbatterne almeno la metà. Nell’uno o nell’altro caso, le conseguenze saranno devastanti per un settore già allo stremo e che, per una gestione programmatica assolutamente priva di visione, rischia di compromettere in maniera irreversibile un settore strategico per l’economia della Campania, rappresentato dal comparto delle aziende agricole e dalla produzione delle mozzarelle di bufala. C’è chi si è spinto – come nel caso di qualche dirigente veterinario dell’Asl Salerno – fino a chiedere di destinare dei finanziamenti regionali sia per favorire la delocalizzazione degli allevamenti bufalini che per nuove modalità di recupero delle “pesanti” deiezioni. Urge una vigorosa transizione ecologica in un settore sì trainante ma dall’impronta ecologica assai pesante. Costoso per la fiscalità generale visto che per l’Italia già scattata la messa in mora da parte della Commissione Europea che già ci ha deferito alla Corte di Giustizia. Si potrebbero limitare i danni agendo con celerità. Finora si è visto poco se non un aumento degli impianti per il biogas più che altro incrementati dalla necessità di aumentare l’autonomia energetica. Urge uno sprint per farlo anche per un ambiente sano non solo per avere ancora energia.