Per quel Mazzolin... «pacchia finita» - Le Cronache
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Per quel Mazzolin… «pacchia finita»

Per quel Mazzolin… «pacchia finita»

di Red.Cro.

Era operativo, tra i più pericolosi d’Italia. Da quindici anni era “scomparso” ma era lui il boss del clan camorristico degli “Orlando-NuvolettaPolverino”. Vale a dire un clan che affonda la sua storia in legami con Cosa Nostra, con il traffico internazionale di droga, perfino con l’omicidio del giovane giornalista de Il Mattino, Giancarlo Siani. Alle 5 di ieri mattina è finita la latitanza del boss Antonio Orlando. Ed ora quello che potrebbe iniziare è la ricostruzione di ciò che c’è dietro un clan che ancora oggi è considerato tra i più potenti, non solo dell’hinterland napoletano. «Anche per lui la pacchia è finita», ha commentato il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Complimenti alle Forze dell’Ordine sono arrivati anche dal sottosegretario alla Difesa, Angelo Tofalo. Forse stava per fuggire Orlando. E forse non ha vissuto sempre nell’appartamento di Mugnano dove è stato trovato, ma anche in altre zone della provincia di Napoli o forse anche all’estero. Quello che è certo, al momento, è che lui alla “bella vita” ci teneva. Nella casa della palazzina a tre piani dove viveva aveva pensato a tutto: c’erano vini pregiati, cibo prelibato. C’era una doccia solare, un tapis roulant per mantenersi in forma, una sauna che sotto nascondeva una botola-rifugio. Non ha avuto modo di azionarla, ieri mattina, perché la porticina esterna sarebbe dovuta essere stata chiusa da un complice. Ed ieri in quella casa era solo. Ma Orlando ha pensato anche ad altro, come hanno spiegato Gaspare Giardelli, comandante del Gruppo di Castello di Cisterna, ed il maggiore Antonio Bagarolo comandante del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna: a distruggere documenti, appunti, forse “pizzini”. Prima che i carabinieri del Nucleo di Castello di Cisterna sfondassero la sua porta, il boss ha infatti provato a bruciare una carta d’identità con la sua foto ma con un alias, un codice fiscale e una tessera sanitaria, forse per coprire chi aveva favorito la sua latitanza. E poi c’erano anche 6mila euro in contanti e soprattutto lettere e documenti che saranno esaminati. Dettagli “studiati” anche per la collocazione di questo suo ultimo rifugio: era vicino ad una strada di grande comunicazione, era prossimo a Marano, il suo territorio d’origine. La cattura di Orlando, detto anche “Mazzolino”, per la sua passione per l’Inter, il comandante provinciale dei carabinieri, Ubaldo Del Monaco, l’ha definita un «risultato molto importante» che si aggiunge agli arresti di altri latitanti «in due anni oltre 50, venti solo nell’ultimo anno». Un clan, quello degli Orlando-Nuvoletta-Polverino, ha detto Del Monaco, «di grande caratura criminale capace di gestire collegamenti con altri sodalizi». Ora le indagini mireranno anche a questo: a capire come per 15 anni Orlando si è nascosto e soprattutto chi lo ha aiutato.