Omicidio Fiorentino: arrestati anche i fratelli salernitani Pasquale e Carmine Maisto - Le Cronache
Cronaca

Omicidio Fiorentino: arrestati anche i fratelli salernitani Pasquale e Carmine Maisto

Omicidio Fiorentino: arrestati anche i fratelli salernitani Pasquale e Carmine Maisto

Ci sono anche due salernitani Pasquale e Carmine Maisto arrestati per l’omicidio di Claudio Fiorentino ucciso a Giovinazzo, con il beneplacito del clan Capriati con cui era imparentato. A nove anni dal delitto, che risale al 3 giugno 2014, i carabinieri hanno arrestato i presunti mandanti, esecutori materiali e fiancheggiatori del delitto, tutti ritenuti affiliati al clan rivale del Di Cosola.
In carcere sono finiti i due presunti mandanti Luigi Guglielmi (reggente del clan) e Carmine Maisto, Pietro Mesecorto (alla guida della moto su cui viaggiava il killer al momento dell’agguato), Pasquale Maisto (fratello di Carmine) e Mario del Vecchio accusati di aver fatto da vedette, studiando orari e movimenti della vittima. Arresti domiciliari per l’esecutore materiale, Michele Giangaspero, collaboratore di giustizia che si è autoaccusato del delitto.L’indagine è stata coordinata dai pm della Dda Federico Perrone Capano e Domenico Minardi con l’aggiunto Francesco Giannella.
Fiorentino, ha ricostruito la Procura, all’epoca 33enne, fu ammazzato con 9 colpi di una pistola mitragliatrice mentre percorreva la complanare della Statale 16, all’altezza di Giovinazzo, a bordo di un calesse. I due sicari in moto gli si affiancarono sparando la raffica di proiettili che uccise il 33enne sul colpo. Lo stesso clan Di Cosola aveva già tentato, due anni prima, di far fuori Fiorentino ma quel precedente agguato saltò perché il giorno in cui avevano pianificato il delitto con la vittima c’erano alcuni bambini e i killer decisero di non agire. Passarono due anni e questa volta il colpo – messo a punto dai fratelli Maisto che volevano acquisire il controllo dei traffici illeciti in città – andò a segno. Solo nel 2018, però, gli investigatori sono riusciti a recuperare l’arma del delitto, in un pozzo nella discarica di Giovinazzo, dopo le indicazioni date dal pentito.
Ora sono arrivati gli arresti (alcuni erano già detenuti perché stanno scontando vecchie condanne per reati di mafia) e la Dda ci ha tenuto ad evidenziare che “spesso sentiamo dire che finché si ammazzano tra di loro alla gente non interessa. Non sono mai soltanto fatti loro – ha detto Giannella – perché un omicidio mafioso è un segnale di malessere gravissimo di una società. Se a questo si aggiunge il movente, un contesto di estorsioni di cui nessuno fa parola, evidentemente non sono fatti loro. A una crescita civile della società – ha concluso il magistrato antimafia – non può contribuire solo la repressione ma una presa di coscienza e la diffusione della fiducia nelle istituzioni”.
«Fiorentino – ha evidenziato il pm della Dda Domenico Minardi – era contiguo al clan Capriati e gestiva in maniera accentrata e monopolistica le attività illecite a Giovinazzo, soprattutto le estorsioni. I Di Cosola gli si sono avvicinati perché interessati alla piazza, e la sua risposta fu negativa. I rapporti così sono diventati sempre più tesi, e una persona legata a Fiorentino ci ha raccontato di come la vittima avesse saputo che i Di Cosola avevano mandato persone da Bari per “metterlo a parcheggio”».
«Spesso – ha aggiunto il coordinatore della Dda di Bari, Francesco Giannella – la gente dice che queste storie non interessano, perché finché si ammazzano tra di loro sono fatti loro. Ma non è mai così: un omicidio non è mai una questione privata, ma un segnale di malessere gravissimo. Se esiste un contesto di estorsioni di cui nessuno parla, è evidente come questa non sia una faccenda privata. A una crescita civile della società non può contribuire solo la repressione, ma serve anche una presa di coscienza e fiducia nelle istituzioni».