di Aldo Primicerio
Lo ha scritto, nella sua motivazione, la Consulta, la Corte Costituzionale della Repubblica Italiana, azzoppando, dichiarando parzialmente incostituzionale, e semisvuotando la legge sull’autonomia differenziata, voluta e redatta dalla Lega, approvata dalle Camere e dalla maggioranza di centrodx, e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 26 giugno 2024. “Il popolo e la nazione – per la Consulta – sono unità non frammentabili, senza che siano in alcun modo configurabili dei ‘popoli regionali’ che siano titolari di una porzione di sovranità”. Materia forse noiosa per molti, eppure di importanza vitale per il nostro Paese. Che qualcuno tenta di fare a pezzi. L’obiettivo delle Regioni più produttive e più ricche è quello di trattenere per sé e di non conferire allo Stato il gettito fiscale, che poi viene redistribuito a quelle Regioni meno produttive e più povere, che sono tutte praticamente al Sud. Dove non siamo soli. In ogni angolo del pianeta c’è chi s’impegna e riesce a fare di più, e chi non vi riesce. Importanti sono sussidiarietà e solidarietà, pur nelle diversità.
Incostituzionali il trasferimento di materie o ambiti di materie ed il riparto di poteri nel sistema politico. Violato il principio di sussidiarietà
La Consulta ha ritenuto infondata la tesi dell’incostituzionalità dell’intero provvedimento, ma ha giudicato illegittimi sette aspetti centrali. La censura riguarda innanzitutto “la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la Regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie“: La Corte, invece, “ritiene che la devoluzione debba riguardare specifiche funzioni legislative e amministrative e debba essere giustificata, in relazione alla singola Regione, alla luce del principio di sussidiarietà“, secondo cui le funzioni pubbliche devono in linea di principio essere svolte al livello più vicino ai cittadini, ma non se l’ente di livello superiore è in grado di svolgerle meglio. Per i giudici, infatti, la distribuzione di competenze prevista dall’articolo 116 della Carta non deve “corrispondere all’esigenza di un riparto di poteri tra i diversi segmenti del sistema politico”, ma “avvenire in funzione del bene comune della società e della tutela dei diritti garantiti dalla nostra Costituzione. “In questo quadro – motiva la Consulta – l’autonomia differenziata deve essere funzionale a migliorare l’efficienza degli apparati pubblici, ad assicurare una maggiore responsabilità politica e a meglio rispondere alle attese e ai bisogni dei cittadini”.
Incostituzionali anche i Lep Livelli Essenziali delle Prestazioni, la delega decisionale a Governo e Presidente del Consiglio che fa fuori il Parlamento, gli aspetti fiscali, l’autonomia differenziata estesa anche alla Regioni a statuto speciale
Ritenuta incostituzionale anche la procedura per la determinazione dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, una sorta di “minimo sindacale” di servizi da assicurare nelle 14 materie, tra cui istruzione e sanità, “riferibili ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti equamente su tutto il territorio nazionale”. Secondo la Consulta, la delega assegnata all’esecutivo per definire questi livelli essenziali entro 24 mesi – disciplinata dall’articolo 3 della riforma – è troppo generica, cioè “priva di idonei criteri direttivi, con la conseguenza che la decisione sostanziale viene rimessa nelle mani del governo, limitando il ruolo costituzionale del Parlamento”. Contraria alla Carta, in questo senso, è pure “la previsione che sia un decreto del presidente del Consiglio dei ministri (Dpcm)”, cioè una norma secondaria non avente forza di legge, “a determinare l’aggiornamento dei Lep. Altre bocciature riguardano gli aspetti fiscali della legge: la Corte ha infatti giudicato contraria alla Costituzione “la possibilità di modificare, con decreto interministeriale, le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali, prevista per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito”. In base a tale previsione, sostengono infatti i giudici, “potrebbero essere premiate proprio le regioni inefficienti, che – dopo aver ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite – non sono in grado di assicurare con quelle risorse il compiuto adempimento delle stesse funzioni”. Ancora, è stata ritenuta illegittima “la facoltatività, piuttosto che la doverosità, per le regioni destinatarie della devoluzione, del concorso agli obiettivi di finanza pubblica, con conseguente indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica”. Infine, è incostituzionale l’estensione della disciplina dell’autonomia differenziata “alle Regioni a statuto speciale, che invece, per ottenere maggiori forme di autonomia, possono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali”. Il comunicato della Consulta conclude precisando che “spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti” derivanti dalla bocciatura delle norme, “nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge”.
“Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano”. E vi sono materie non trasferibili dallo Stato alle Regioni
Perché se è vero che “una componente fondamentale della forma di Stato delineata dalla Costituzione è il regionalismo” dall’altra parte è al Parlamento che la legge fondamentale dello Stato italiano “riserva la competenza legislativa esclusiva in alcune materie affinché siano curate le esigenze unitarie e gli affida altresì dei compiti unificanti nei confronti del pluralismo regionale. Sul piano istituzionale, questa stessa rappresentanza e la conseguenziale cura delle esigenze unitarie sono affidate esclusivamente al Parlamento e in nessun caso possono essere riferite ai consigli regionali”. Politica commerciale comune, tutela dell’ambiente, produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia e le grandi reti di trasporto, ma anche le “norme generali sull’istruzione” e tutte quelle materie su cui incide l’Unione europea, che hanno una “valenza necessariamente generale ed unitaria. Dunque i popoli regionali, non esistono, esiste il popolo italiano. E meno male che in Italia, alla fine, ci sono gli alti giudici, depositari delle alte decisioni dei padri costituenti. Ed infine il sì della Cassazione al referendum con cui si chiede l’abrogazione totale dell’autonomia differenziata, votabile anche dopo la pronuncia della Consulta su quanto abbiamo scritta prima. E con il quorum, si scenda dal 50%, ritenuto giustamente troppo alto da La Russa, che si scenda al 40%. E comunque, quando sarà, tutti a votare, ovviamente SI, all’abrogazione.