di Nicola Russomando
La conferenza che ha tenuto il Patriarca latino di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa a Baronissi il 21 agosto è stata contrassegnata dal prevedibile “grido di dolore” che si eleva dalla martoriata Terra Santa dopo le stragi del 7 ottobre. Non a caso è stato scelto dagli organizzatori, i Frati Minori Francescani della Provincia salernitano-lucana di cui Pizzaballa è confratello, un versetto del Salmo 122 “Chiedete pace per Gerusalemme”. La pace per Gerusalemme non è solo un auspicio, ma una necessità per una regione, il Medio Oriente, che sta attraversando una crisi senza precedenti dagli sviluppi imprevedibili. Di qui lo sforzo, in primo luogo, di assistenza materiale del Patriarcato alla popolazione palestinese e in particolare all’esigua comunità cattolica della striscia di Gaza di circa 600 persone radunate in un complesso parrocchiale, dove lo stesso Pizzaballa si è recato personalmente e con l’assenso delle autorità israeliane il 16 maggio scorso attraverso un corridoio di passaggio rimasto segreto. La figura dell’italiano Pizzaballa sin dalla sua nomina nel 2016 ad Amministratore apostolico del Patriarcato di Gerusalemme è risultata particolarmente gradita allo Stato d’Israele dopo la serie di Patriarchi di origine araba con gli inevitabili riverberi delle tensioni tra ebrei e palestinesi, considerazione rafforzata con la nomina a Patriarca nel 2020 e con l’elevazione al cardinalato solo pochi giorni prima, il 30 settembre, del fatidico 7 ottobre.
Tuttavia, al di là delle dichiarazioni di principio che hanno costellato la conferenza anche nelle domande poste dai presenti, è emersa una considerazione di ordine politico sollecitata da una domanda dell’arcivescovo di Salerno Andrea Bellandi circa la presenza di gruppi favorevoli alla pace nei due popoli. Qui l’analisi di Pizzaballa si è concentrata sull’attuale politica del governo Netanyahu, condizionata dall’appoggio di una “destra messianica”, come l’ha definita, che vede nella ricostituzione dello Stato d’Israele entro i suoi confini storici un elemento non solo identitario, ma tout-court di adempimento della promessa biblica della terra. Su questo particolare aspetto già Benedetto XVI da emerito aveva richiamato l’attenzione nel suo trattato “De Judaeis”, che molte polemiche suscitò in Germania in quanto interpretato come attentato al dialogo cattolico-ebraico. La tesi di Ratzinger poggiava sulla considerazione che, se è vero che l’alleanza di Dio è irrevocabile, si deve tener conto anche dell’infedeltà dell’uomo rispetto ad essa. E così il diritto degli ebrei ad un loro autonomo Stato va ricercato nel diritto naturale di ogni popolo a possederlo, piuttosto che nella promessa dell’antica alleanza fatta ad Abramo e alla sua discendenza. Considerazioni di particolare valore teologico che sposano questioni di diritto naturale su cui si fondano le stesse risoluzioni ONU del 1948 che prevedevano la nascita di uno Stato ebraico e di uno palestinese. Questione irrisolta che è il vero antefatto della crisi attuale. Il fatto che ormai sempre più stancamente si continui a ribadire la formula “due Popoli, due Stati” è confermato anche da un articolo apparso in tempi non sospetti, nel novembre 2022, sulla rivista “La Civiltà Cattolica”, organo ufficioso della Segreteria di Stato vaticana, dal titolo eloquente “Ripensare la ripartizione della Palestina?”. Lo firmava il gesuita di origini ebraiche e cittadino israeliano David Neunhaus, vicario dello stesso Patriarcato latino, il quale abbozzava la soluzione di eguali diritti per ebrei e palestinesi all’interno di un unico stato. La crisi del 7 ottobre ha rimesso in discussione tutto e sempre di più si scontrano in Israele due visioni di Stato, uno democratico in senso laico e uno proiettato sul messianismo della terra. Il Patriarcato latino di Gerusalemme non propende per soluzioni politiche. Queste sono affidate ad altri attori della scena internazionale e in primo luogo alla diplomazia di cui la Santa Sede è esponente primario anche in considerazione del dialogo avviato tra ebraismo e cristianesimo. Resta tutta l’importanza della presenza cristiana in Terra Santa di cui il Patriarcato è espressione e che si colloca nell’attenzione prestata alle legittime posizioni delle parti. Lo ha ricordato Pizzaballa riprendendo un passo della Regola non bollata di S. Francesco, in cui s’impone ai frati in missione “in partibus infidelium” il rispetto dell’autorità e quindi, ove le circostanze lo consentano, la predicazione del Vangelo. Tradotto in termini pratici, il Patriarcato assicura la propria opera di assistenza alle popolazioni colpite senza rinunciare a quel processo di verità e giustizia che è alla base della costruzione di una pace duratura, che ha come suo presupposto “la purificazione della memoria”.