Mania di carne? Una condanna per terra, acqua, animali, e noi umani - Le Cronache Attualità
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Mania di carne? Una condanna per terra, acqua, animali, e noi umani

Mania di carne? Una condanna per  terra, acqua, animali, e noi umani

di Aldo Primicerio

Pensate un pò. Ognuno di noi in media mangia 80 chili di carne all’anno, 1 kg. e mezzo a settimana, 200 grammi al giorno. Una demenziale e micidiale esagerazione, una creofagia o creomania si direbbe in greco antico. In Africa invece solo 20 kg, 4 volte in meno. Nella seconda metà del Novecento il consumo globale di carne è aumentato di 5 volte, passando dai 45 milioni di tonnellate consumati nel 1950 agli attuali 300 milioni di tonnellate. Secondo le stime della Fao, questo consumo è destinato a raddoppiare entro il 2050. I consumi di carne sono cresciuti in modo esponenziale in America e in Europa, e sono aumentati in Cina, in India e, in generale, nei Paesi in cui cresce una nuova classe media e in cui si registra una forte crescita demografica. In Cina, ad esempio, il consumo di carne è cresciuto di circa 15 volte negli ultimi 50 anni. Se cinesi, indiani e brasiliani continuassero a consumare carne a questi ritmi, presto sul pianeta Terra non ci sarebbe una superficie sufficiente per nutrire tutto il bestiame necessario.

 

Il pensare, il guardare, ed il legiferare a breve della politica

 

E’ questo è il problema. Una previsione del genere nessuno può sostenerla. Prima di passare ai perché ed ai rischi che corriamo c’è da dire che a pochissimi di noi interessa. Men che meno ai politici ed ancora meno al governo ed ai governi, che si perdono dietro ai cunei fiscali o ai redditi di cittadinanza. Loro pensano che hanno una vita breve, 5 anni di governo. E quindi…chi se ne frega! Ci penseranno quelli che verranno dopo. Questa è la politica. Pensare a breve, guardare a breve, e legiferare a breve. Ma anche fare danni a lungo termine. E quindi no al Green Deal ed al Nature Restoration Law, e sì invece a pesticidi ed agli allevamenti intensivi. E qui siamo al nostro tema di oggi, ai 700 milioni di animali in Italia ogni anno allevati intensivamente in spazi ristretti, brutalizzati e poi uccisi e smembrati per metterli in tavola a noi umani maniaci della carne. Si dirà, è vero, l’umanità ha voglia di carne e fame di proteine. Ma a quali costi? Immani. Discettiamo di combustibili e di industrie che inquinano, ma ignoriamo che l’allevamento intensivo, dei bovini soprattutto e poi dei suini, costituisce la seconda causa di formazione di particolato fine in Italia, è responsabile dei due terzi delle emissioni di ammoniaca sul territorio nazionale, e consuma due terzi dei terreni agricoli europei per coltivazioni destinate alla mangimistica. Le emissioni di ammoniaca hsnno conseguenze dirette sulla salute umana, specie per quanto concerne le emissioni di polveri sottili. L’Italia è, infatti, seconda solo alla Polonia in Europa per morti premature da esposizione alle particelle PM 2,5, con quasi 50 mila decessi prematuri nel 2021. Lo ricordiamo ancora, due terzi dei cereali commercializzati nell’Unione Europea diventano mangime e circa il 70% dei terreni agricoli europei è destinato all’alimentazione animale, principalmente per coltivazioni come il mais che richiede tantissima acqua, una risorsa sempre più scarsa. E’ il costo che paghiamo, ad un’agricoltura necessaria sì  ma anche folle.

 

Le iniquità dell’attuale zootecnia e la necessità di una sua immediata riconversione, di una transizione agroecologica

 

Le iniquità? L’80% dei fondi europei per l’agricoltura italiana finisce attualmente nelle casse di appena il 20% dei beneficiari. Il sistema, di fatto, penalizza le piccole aziende e favorisce quelle di maggiori dimensioni. Secondo dati Eurostat, in poco più di dieci anni (tra il 2004 e il 2016) l’Italia ha perso oltre 320 mila aziende, ha assistito a un calo del 38% delle aziende più piccole, a un aumento del 23% di quelle più grandi, e del 21% di quelle molto grandi.

Un altro importante elemento che deve spingerci ad una riconversione del sistema è quello degli accordi internazionali da rispettare in materia di inquinamento ambientale. La direttiva europea NEC, ad esempio, che ci obbliga a diminuire, a partire dal 2030, le emissioni di ammoniaca del 16% e quelle di PM2,5 del 40% rispetto ai livelli del 2005 E poi la direttiva Nitrati, per il cui mancato rispetto è già in corso una procedura d’infrazione a carico del nostro Paese con il rischio di pesanti sanzioni da parte della Corte di Giustizia Europea. Insomma ci nutriamo di “trumpmanie” e di “elonmuskmanie”, ci facciamo ammaliare dal romanesco cacio e pepe della Meloni, o ipnotizzare dagli assiomi da quattro soldi di Gasparri, o rassegnarci alle trovate “giustizicide” di Nordio, o rallegrarci per i primati della raccolta differenziata a Salerno mentre prolificano dovunque le scie di rifiuti lungo le strade e le discariche a cielo aperto, mentre pochi di noi sappiamo guardarci intorno ed immaginare quale società, quale città, quale Paese consegniamo ai nostri nipoti.

 

Per fortuna che non siamo soli. C’è chi sa pensare e guardare più in là del proprio naso. Con una proposta di legge

 

C’è infatti l’Unione Europea che sa guardare molto più avanti del nostro governo, anche se lì c’è Maastricht e tanto altro da cambiare. E c’è il gruppo di organismi di protezione ambientale, guidato dal WWF, con Greenpeace, Lipu, ISDE Medici per l’ambiente, Terra!, e la loro proposta di legge “Oltre gli Allevamenti Intensivi” presentata l’altro giorno alla Camera. Questi organismi, ma anche molti di noi, sono convinti che gli eventi climatici estremi sempre più frequenti e le pesanti ricadute sulla qualità dell’aria, dell’acqua e del suolo impongano la ricerca di una nuova efficienza alimentare che prediliga produzioni a più basso consumo di risorse e con minori impatti ambientali, sociali e sanitari. L’obiettivo di tutti noi, che dobbiamo saper guardare avanti, è la transizione ecologica del settore zootecnico, riconoscendo il giusto prezzo ai piccoli produttori e garantendo ai consumatori l’accesso a cibi sani e di qualità, secondo i valori positivi del “Made in Italy”. Una transizione che richiede una riduzione dei consumi di carne e di prodotti di origine animale provenienti da allevamenti intensivi, almeno un terzo di quella che consumiamo oggi, e non è un grande sacrificio se consideriamo i benefici, anche di salute personale, che ne ricaviamo. E si consideri anche che il consumo medio di carne in Italia è superiore a quello consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Insomma, vivere meglio oggi dipende dai punti di vita, da come sappiamo guardare le cose, cogliere di ogni situazione il lato migliore. E quindi smettiamole con le solite pippe mentali che ci propina questa televisione o questo web di infimo profilo, ed impariamo ad essere noi i progettisti delle nostre giornate, per quel poco della nostra vita che ad alcuni di noi ci resta da vivere. Cominciando, perché no, dalla tavola e da quello che mangiamo.

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