di Red.Cro.
Il presidente di FederCepi Costruzioni, Antonio Lombardi: “Trecentomila persone in pericolo: le risorse ci sono, subito un piano per la messa in sicurezza del territorio” I recenti gravissimi episodi di dissesto idrogeologico in Veneto ed in Sicilia, costati in quest’ultimo caso nove vittime, tra cui due bambini, impongono una seria riflessione sulla corretta gestione e manutenzione del territorio affinché simili situazioni non si ripetano più.Riflessione tanto più opportuna e necessaria in realtà, come la Campania, a rischio estremamente elevato, dove è già stato – in passato – pesantissimo il tributo di vite umane determinato dalla cattiva gestione e manutenzione del territorio.I dati Ispra dell’ultimo monitoraggio (2872018) sono estremamente allarmanti: il 60,2% del nostro territorio regionale è a rischio frana, contro una media nazionale del 19,9%. Il 19,6% presenta un livello di pericolosità da frana elevato o molto elevato (più del doppio della media nazionale: 8,4%). Il problema interessa 302.783 residenti: 116.115 famiglie, il 5,6% del totale. Soltanto la Val d’Aosta, in tutta la penisola, presenta livelli di pericolosità superiori (81,9%).Tra le province più “a rischio”, sempre secondo l’Ispra, Avellino e Salerno, con, rispettivamente, il 23,3% e il 22,5% del territorio. Salerno e Genova sono sono le province italiane che presentano il numero più elevato di edifici a rischio frane. Il quadro è davvero preoccupante: 90.789 edifici in Campania sono in zone a rischio molto elevato ed elevato (P3 e P4), l’8,6% del totale (dato Italia: 550.723 edifici 3,8% del totale). A Caserta il 5,7% (12.089), a Benevento l’11,2% (11.096), a Napoli 16.032 (13,1%) a Salerno 19.373 (12,8%).Eppure, a fronte di una situazione così palesemente preoccupante, la politica stenta ad adottare interventi incisivi: basti pensare che rispetto al 2015, in Campania appena 11 km quadrati sono stati messi in sicurezza, con un miglioramento della rischiosità di appena lo 0,1%. I dati predetti, ma anche gli ineluttabili costi di ripristino successivi agli eventi drammatici patiti, dovrebbero essere di monito ed insegnamento: negli ultimi dieci anni il nostro paese ha dovuto spendere oltre 40 miliardi di euro. Negli ultimi tre anni la media annua di spesa per il ripristino dei danni si è attestata a 7,5 miliardi l’anno.Tralasciando il dolorosissimo tributo in termini di vite umane, davvero pesante: trenta soltanto nell’ultimo anno.Le opportunità per porre fine a questa “mattanza” della natura, tutta imputabile all’incuria dell’uomo, al disinteresse, ma anche all’inefficienza della politica, esistono e vanno sfruttate adeguatamente.Nella sola programmazione POR-FESR 2014-2020 le risorse che, a vario titolo, possono essere appostate su interventi di mitigazione del rischio idrogeologico ammontano ad oltre 1,4 miliardi (tra Asse 10 per lo sviluppo urbano sostenibile, Asse 6 per la tutela e la valorizzazione del territorio, e Asse 5, specifico per la prevenzione dei rischi naturali ed antropici).Ma siamo ormai ben oltre la metà di quella che dovrebbe rappresentare la fase “attuativa” del Programma. Ad appena due anni dalla scadenza, occorre una tempestiva e vigorosa accelerazione delle procedure affinché ai programmi ed ai progetti (ove esistenti) conseguano finalmente cantieri ed opere.Che quanto accaduto in Veneto ed in Sicilia sia da monito in una Regione come la nostra che presenta addirittura livelli di rischio superiore alle aree interessate dalle recenti calamità