di Clemente Ultimo
Oltre settanta persone, tra cui un’intera famiglia di origine tunisina, accolte ed ospitate nei mesi invernali e fino ad aprile. Questo, in uno stringatissimo bilancio numerico, il lavoro di accoglienza svolto dai due dormitori allestiti in città nelle settimane più fredde dell’anno, al fine di garantire almeno un ricovero notturno per i tanti senza fissa dimora che, come fantasmi, popolano le strade della città. Ma l’opera svolta dalla struttura allestita presso la parrocchia della Madonna della medaglia miracolosa –gestita direttamente dalla Caritas sulla scorta di un’intesa con l’amministrazione comunale – e da quella ospitata presso il complesso dei Padri Saveriani – nata tredici anni fa su iniziativa di un gruppo di volontari che ancora oggi ne assicura il funzionamento – non può essere ridotta a mero dato numerico, considerato che per alcuni degli ospiti i due dormitori “emergenziali” hanno rappresentato l’unica, concreta alternativa al trascorrere le notti invernali in strada, rischiando la morte per assideramento. Accanto a chi ha passato solo una notte in una delle due strutture, ci sono stati ospiti che hanno trovato accoglienza per settimane o mesi all’interno delle stesse, superando il periodo più difficile dell’anno per chi – per scelta o per necessità – trascorre la propria vita in strada. E quanto l’opera dei due dormitori sia stata fondamentale in una città che sull’onda lunga della crisi pandemica – innestatasi su una perdurante crisi economica – vede crescere povertà e disagio sociale, lo confermano le parole di don Flavio Manzo, direttore della Caritas diocesana. “Senza alcun dubbio – sottolinea don Flavio – possiamo dire che le due strutture sono un punto di riferimento sul territorio, lo ha dimostrato la crescente richiesta di accesso: nei momenti più critici abbiamo dovuto aggiungere letti in ogni spazio disponibile. Basti pensare che all’inizio, presso il dormitorio allestito nei locali della parrocchia della Madonna della medaglia miracolosa, nella stanza destinata ad ospitare le donne avevamo solo due posti occupati, alla vigilia della chiusura era al completo”. Alla fine del mese di aprile, come previsto, le due strutture hanno chiuso i battenti: quale sarà la sorte degli ospiti “fissi” delle due strutture? “Con l’approssimarsi della stagione estiva molti degli ospiti che vivono più o meno stabilmente a Salerno si sono mossi in cerca di lavoro: buona parte di loro, infatti, riesce a trovare un’occupazione stagionale, vuoi impegnandosi nelle attività agricole, vuoi in qualche attività turistico-ricreativa. Diverso è invece il discorso per quegli ospiti delle due strutture che, per motivi di salute o perché avanti con l’età, non hanno possibilità né di trovare un’occupazione, per quanto precaria, né di sistemarsi in maniera autonoma: per venire incontro alle loro esigenze ci sono le due strutture che operano in maniera permanente in città, il dormitorio ai Barbuti e gli spazi messi a disposizione dai frati di Piazza San Francesco. In tutto abbiamo una disponibilità di circa 35 posti letto, solitamente sufficienti a far fronte alle necessità di accoglienza nel periodo estivo”. L’emergenza, però, è pronta a presentarsi nuovamente il prossimo inverno. “Sì. Quella di cui abbiamo parlato finora deve essere considerata una soluzione transitoria, in vista dell’apertura, prevista per il prossimo mese di settembre, del polo della carità a via Bastioni”. Una sfida impegnativa. “Certamente, ma da affrontare. Gestire il problema di chi è costretto a vivere per strada sotto la spinta dell’emergenza comporta un enorme dispendio di forze, già di per se stesse limitate. In particolare per quel che riguarda il numero di operatori e volontari disponibili ad assumere su di sé un impegno che, bene non dimenticarlo, richiede costanza e dedizione e non può certo essere vissuto come episodico. Proprio per questo motivo abbiamo intenzione di lavorare sulla formazione dei volontari, anche se il primo passo sarà quello di “mobilitare” i parroci: sono loro che leggono quotidianamente il territorio ed hanno la possibilità di individuare le persone in grado di reggere un carico di impegno non lieve. C’è bisogno di costanza, non di un entusiasmo facile a svanire”. A questi sforzi come risponde la città? “Devo dire che abbiamo un buon dialogo con l’amministrazione e non solo. Ad esempio sul progetto del polo della carità abbiamo raccolto la disponibilità di alcuni medici del Ruggi a farsi carico di un’opera attiva di assistenza a favore degli ospiti. Un esempio tra tanti, ma è importante per comprendere quanto sia necessario fare rete per rispondere in maniera efficace a queste problematiche. Basti pensare che in alcuni casi abbiamo accolto nelle nostre strutture persone con disagi psichici: le abbiamo ospitate, abbiamo fornito loro l’assistenza materiale che ci è stato possibile dare, ma è evidente che poi occorre seguire nel tempo queste persone, assicurare una presenza costante. Deve essere questo il nostro traguardo, come comunità”.