Perfetto l’attore salernitano nei panni del Carnevale di Raffaele Viviani, in scena al Teatro delle Arti, quale secondo appuntamento della rassegna “Te voglio bene assaje”
Di Olga Chieffi
La rassegna “Te voglio bene assaje” promossa dal TeatroNovanta di Serena Stella e Alessandro Cajazza, ha salutato dicembre con l’interpretazione di “Morte di Carnevale” di Raffaele Viviani, sul palcoscenico del Teatro Delle Arti. Carnevale, è un nome proprio, anzi il soprannome appioppato da tanti anni ad un grosso e grasso strozzino, flagello imposto dalla miseria ad un popolarissimo clan abitane un vicolo, palcoscenico privilegiato di Viviani, di uno dei più poveri rioni napoletani. Compare, Carnevale, solo nel primo atto; ma, per l’autonomia artistica con cui è tratteggiato, ciò basta a dare diritto di cittadinanza a questo personaggio nella storia del teatro. Dalle prime battute si direbbe collocato sul piano della caricatura, ma il paradosso della stessa ne determina subito la drammaticità. E’ perfetto il personaggio di Carnevale per Gaetano Stella, questo settantenne che impreca contro la memoria del debitore che morì senza avergli restituito il danaro prestato e sene dà pace solo al pensiero che potrà vendicarsi all’altro mondo. La parte di Carnevale, che potrebbe dirsi un frammento molieresco senno avesse la particolare impronta di Viviani, ha costituito sempre la misura dei mezzi del grande attore. Gaetano Stella ha fatto onore alla grande tradizione dei Clementi, degli Scarpetta, di Tecla Scarano, dei Taranto, di Luisa Conte e dello stesso Viviani, col suo sicuro intuito drammatico, con la misura del comico, con la sapienza e il gusto della coloritura, con tutto ciò, che contraddistingue il vero artista. Una commedia in tre atti che non manca di divertire il pubblico con scene e situazioni spassose e non di rado esilaranti. Il quartiere di una città degli anni ’30 con i suoi abitanti caratteristici – il portiere, le vicine, l’oste, il cantante, il becchino – rappresentano tutti uno spaccato della vita quotidiana della Napoli di allora e per certi versi anche di oggi, dove tutti condividono tutto, dove il pettegolezzo e la curiosità per ciò che accade agli altri sono in fondo un modo per vivere e andare avanti con allegria anche in un contesto di miseria e povertà. Pasquale Capuozzi, vecchio e laido usuraio, è il “Carnevale” a lui contemporaneo: vecchio, grasso, laido e avarissimo, perfetto Euclione avvinghiato a una pentola piena dell’oro sudato dalle lacrime dei gonzi che a lui chiedono denaro c’o ‘nteresse. Ma anziché essere circondato da giovani innamorati e animati da buoni sentimenti, Capuozzi è circondato da un nipote fannullone e da un’amante (‘a femmena) ancora più avida di lui, per un intreccio che – lungi dall’ossessione del messaggio – diventa un capolavoro del comico quasi inarrivabile, che viene aperta e chiusa da due splendide canzoni “Tanno e mo’” e “‘ O mare ‘e Mergellina”, simbolo del teatro musicale di Raffaele Viviani. Quando ci si sposta nel vico, viene fuori il teatro vivianesco en plan air, la lotta caratteristica praticata a Napoli fra gli impresari di pompe funebri, innanzi al morto, i pianti, le esclamazioni di dolore convenzionali, il consuolo, a base di cioccolato e il pranzo con abbondante pesce, e tutto il macabro comicizzato diretto da Matteo Salzano trovano nelle scene di Viviani, il più divertente e caustico commento. Sotto sotto, c’è tanta amarezza napoletana, ma si ride, si ride, si ride! Personaggi che si nascondono sotto il letto, che si scambiano per fantasmi, che entrano dalla finestra per non farsi vedere da occhi indiscreti, esilaranti gag e situazioni da sit-com. Eccellenti i due protagonisti, Ntunetta, Serena Stella, credibile interprete di questa parte molto importante che ha recitato in maniera ineccepibile e di Rafele, affidato a Lucio Pierri, più che protagonista commentatore, il coro della singolare vicenda, che compendia una pagina di vita napoletana, in cui vi si mescola un pizzico di “epica” brechtiana. Applausi per tutti ed appuntamento al 2020.