di Luciano Santillo
La cosa che più mi colpisce se penso alla morte è che da qualsiasi sfondo la si guardi l’immobilismo del corpo è il fenomeno concreto che più ti rimane impresso. Mentre faccio queste considerazioni il tiepido acquazzone di una lacrima lambisce le mie gote fino ad essere risucchiato dalle labbra avide di ogni cosa che ti restituisca alla vita, a quella reale, perché l’anima si è fermata anch’essa contro quel terribile palo che ci ha separati definitivamente. Ricordo solo la sua voce perché così la conoscevo. Una voce, dei messaggi e un cuore: un cuore e dieci dita. Era molto più giovane di me Marta, i suoi trentatré anni si contrapponevano ai miei quasi sessanta ma non per questo si tirava indietro a vezzeggiare il mio nome ogni volta che la sentivo per proporle un pezzo. Mi chiamava “Lu” e non so neanche io da dove abbia tirato fuori questo diminutivo che usa mia sorella Paola. A volte lo faceva anche la mia mamma. Mi chiamava “Lu” e la cosa mi riempiva di gioia. Apprendo la notizia per interposta persona: <conoscevi Marta Naddei?>. La voce mi viene che ero in un’altra stanza. Uno schiaffo in faccia, un pugno allo stomaco senza neanche sapere il perché di questo interrogativo. Capisco subito. Sono fuori Salerno, nel Viterbese a casa di mio fratello, tra Natale e Capodanno. Intuisco la verità ancor prima che mi venga confessata: <Si! La conoscevo> Conoscevo la sua voce cristallina, il suo modo di chiamarmi, le sue risposte ai miei messaggi per dirmi che quel pezzo le piaceva. Oggi potrei dirti di cercare di essere felice, di dare al tuo cuore un battito più forte che ti faccia sentire al posto giusto, in pace con gli altri esseri umani oltre che con te stessa. Ovunque tu sia. Per tutte le persone che ti hanno amata durante questo breve viaggio. Il momento si è fermato e l’immobilismo si è impadronito della tua vita, a pochi passi da casa mia. Il tempo è già passato e altro ne passerà. Sei volata via e non siamo neanche certi che la destinazione definitiva sia quella che noi cattolici ci ostiniamo ad aver fede che esista. E la speranza dura finché vivi questa vita, finché puoi veramente sognare. Era bella Marta nel cerchio di sole e sono certo che lo sarà stata anche contro il pallore della morte, io che non ero neanche lì per vederla, per dirle un altro ciao. L’immobilismo della morte distrugge tutto ciò che hai versato in vita, compreso i pensieri e le emozioni più intime. Tutto torna indietro inevitabilmente immobile, perché di fronte a quell’immobilismo non puoi opporre alcun ragionamento logico, nessun contrasto. Tutto resta immobile. Tienimi con te dentro questa vita direbbe il “mio amico” Baglioni ma non sei più in questa vita. Sei volata via sfidando l’immobilismo e l’indifferenza giornaliera che ci circonda. E tutto finisce in un batter d’occhio, mentre il vento soffia freddo dalle proprie narici inzuppate di pianto salato. Ciao Marta.