Lea Celano, preside del Genovesi-Da Vinci di Salerno: le scuole continuano a caderci in testa - Le Cronache
Salerno

Lea Celano, preside del Genovesi-Da Vinci di Salerno: le scuole continuano a caderci in testa

Lea Celano, preside del Genovesi-Da Vinci di Salerno: le scuole continuano a caderci in testa

di Matteo Gallo

Nel suo luminoso ufficio, al primo piano dell’istituto di istruzione superiore Genovesi-Da Vinci di Salerno, gli studenti sono di casa. «Credo nei rapporti umani e considero mio dovere lasciare sempre aperta la porta del dialogo» spiega la dirigente Lea Celano, donna solare con una robusta sequenza di empatia nel codice genetico, dal duemilaventuno al timone della scuola di via Sichelgaita. «Anche dalla disponibilità ad accogliere una richiesta di conversazione all’apparenza motivata da ragioni non pregnanti» prosegue «può nascere nei ragazzi la spinta a tirare fuori molto di più e ben altro. Ad esempio un problema o uno stato di debolezza nel quale si sentono imprigionati».

Il dialogo, preside Celano, è la vera chiave di (s)volta nel rapporto con le giovani generazioni?  

«Assolutamente sì. I ragazzi dispongono di risorse interiori incredibili per affrontare e superare le difficoltà ma hanno bisogno di essere ascoltati per tirarle fuori. Naturalmente è altrettanto importante responsabilizzarli affinché imparino a camminare da soli sulla strada della vita. La mancanza di autonomia, fuori dalla scuola e dalla famiglia, diventa un problema».

Nel suo percorso professionale -prima da docente e adesso da dirigente- chi sono stati i suoi maestri?

«Su tutti il preside Antonio Lepre del liceo Alfano I di Salerno, scuola nella quale ho avuto la fortuna di insegnare. Una guida autorevole e centrale che ha nutrito di significati preziosi e positivi il mio desiderio di diventare preside».

Qual è, secondo lei, lo stato di salute della scuola italiana?

«E’ una scuola in buona salute nonostante l’abitudine ormai consolidata di trovarle dei difetti ben oltre quelli reali. La scuola italiana ha una storia importante e di assoluto valore che le consente di raccogliere, con autorevolezza e consapevolezza nei propri mezzi, tutte le sfide del futuro. Dal mio punto di vista dovremmo restare ancorati maggiormente al nostro passato evitando di stravolgerci in maniera eccessiva per imitare i sistemi scolastici di altre nazioni».

Non abbiamo nulla da apprendere?

«Sul piano della formazione e dell’istruzione, più imitiamo gli altri sistemi scolastici più indeboliamo la scuola italiana. Le faccio un esempio. Quando i nostri ragazzi vanno all’estero per progetti-studio risultano sempre più preparati dei loro coetanei. Altro discorso, invece, è la qualità delle strutture scolastiche».

Tutto da apprendere su questo versante?

«Sicuramente c’è ancora tanto, troppo da fare. Bisognerebbe prendere esempio da quei Paesi che hanno consentito all’istituzione scolastica di realizzarsi come comunità anche attraverso la qualità delle strutture – dagli spazi comuni destinati alla socialità agli ambienti dedicati all’insegnamento e all’attività laboratoriale – dando la possibilità agli studenti di vivere la scuola non solo di mattina. L’edilizia scolastica è una priorità che riguarda sicurezza e benessere».

Una priorità sistematicamente disattesa.

«Oggi disponiamo di risorse importanti e preziose per la digitalizzazione e le attività extracurricolari ma le scuole continuano a caderci in testa. E’ l’amara realtà».  

Nuove generazioni. Dal suo osservatorio – senza dubbio privilegiato – in cosa sono meno forti rispetto a quelle precedenti?

«Sono molto più fragili nei confronti degli ostacoli della vita. Noi adulti – lo dico da genitore – li abbiamo abituati poco ai ‘no’ e poco alle difficoltà facendoli crescere iperprotetti in ambienti mediamente ovattati».  

Qual è invece il loro principale punto di forza?

«L’apertura al cambiamento. I ragazzi non solo accolgono le novità con entusiasmo ma riescono a lavorarci immediatamente migliorandole con propositività e talento».

L’alleanza educativa scuola-famiglia è in crisi?

«Spesso i genitori tendono a difendere tout court i propri figli rendendola più complicata. Con i giovani – ripeto – bisogna dialogare ma è necessario anche il rigore delle regole».

Come rinsaldare e rilanciare il rapporto con le famiglie?

«Coinvolgendo di più le famiglie nella vita della scuola per far conoscere sia le eccellenze che le criticità. In questo modo le distanze si ridurrebbero e la fiducia reciproca aumenterebbe. Non dobbiamo mai dimenticare che scuola e famiglia sono chiamate a camminare insieme nell’interesse esclusivo dei ragazzi».

Educazione ai sentimenti: la scuola fa abbastanza?

«La scuola è una palestra naturale di sentimenti perché fonda il suo ‘essere comunità’ sulle relazioni umane che si sviluppano all’interno delle singole classi così come tra classi dello stesso istituto. La scuola, inoltre, educa da sempre ai sentimenti. Lo fa anche quando coinvolge gli studenti nella lettura di una poesia o nello studio dei grandi autori della letteratura. Detto questo, sicuramente i ragazzi devono essere educati alla ‘lettura’ e soprattutto alla gestione delle proprie emozioni».      

Ricchezza emotiva e povertà linguistica. 

«Le giovani generazioni sono bombardate da sollecitazioni continue che provengono per lo più da internet e dai nuovi strumenti di comunicazione. Stimoli veloci che richiedono altrettanta velocità di interazione per restare al passo con il mondo e con gli altri. Sarebbe necessario spezzare questa linea di immediatezza dilatando il tempo e abitando la ritrovata lentezza, ad esempio, con la riflessione».

Come realizzare questa ‘frattura’?

«Leggendo un buon libro. Non è l’unico strumento ma uno dei migliori. I ragazzi devono leggere di più e allo stesso tempo avere maggiori opportunità di dialogo estemporaneo per arricchire il proprio patrimonio linguistico».  

Autonomia scolastica. Tra i suoi effetti ‘collaterali’ si registra una competizione particolarmente spinta tra istituti dello stesso territorio. Un bene o un male? 

«L’autonomia scolastica esiste solo sulla carta perché nella realtà ci sono tanti vincoli e pochi margini di manovra. Premesso questo, una competizione così intesa non è sana. Tutt’altro. Ogni scuola deve valorizzare la propria specificità anche grazie alla ‘visione’ del dirigente e alla qualità del corpo docenti. Io rilancerei l’autonomia con nuovi meccanismi di cooperazione».

Quali?

«Ogni scuola potrebbe mettere al servizio delle altre scuole le strutture di cui dispone. Questo dovrebbe avvenire sulla base delle esigenze formative degli studenti e naturalmente di una certa prossimità territoriale».  

Didattica digitale: l’accelerata del Pnrr è sufficiente?

«Una cosa è fare una slide di presentazione al computer, altra cosa invece è utilizzare le nuove tecnologie per realizzare una didattica diversa da quella tradizionale. Per il secondo obiettivo è necessaria una formazione continua».

La scuola rischia di subire questo processo?

«La scuola è chiamata a governare questo processo con autorevolezza e competenza. Siamo solo all’inizio ma l’impegno in questa direzione è davvero massimo. Ne avvertiamo per intero la responsabilità e l’importanza».