Nella notte tra il 3 ed il 4 marzo 1944, a Balvano, in provincia di Potenza, più di 600 persone morirono in un assurdo e incredibile incidente ferroviario: il più grave della storia. Da Napoli, quasi tutti i giorni si formava un treno merci il cui numero di identificazione era 8017, con destinazione Potenza. Quel giorno, era formato da quarantasette carri, in parte chiusi, in parte pianali, in parte alte sponde. Alcuni erano carichi, ma la gran parte erano vuoti, tanto che ben presto vi si stiparono centinaia di persone, che si recavano in quel di Potenza e provincia per acquisti di derrate alimentari, per lo più da barattare con merci di provenienza americana che a Napoli non mancavano, quali sigarette, caffè, indumenti. Il treno 8017 giunse a Salerno, dove salirono altre persone, qui si provvide al cambio di trazione, essendo la linea Battipaglia – Potenza – Taranto non elettrificata. Dopo una sosta a Balvano imboccò la galleria “delle Armi”, quando, inspiegabilmente, le sale delle due locomotive cominciarono a perdere aderenza fermandosi a metà di essa. L’ossido di carbonio contenuto nei gas di combustione saturò completamente la galleria, conducendo silenziosamente all’asfissia i viaggiatori, per lo più addormentati. Gran parte delle vittime non fu mai identificata, anche se è noto che molti di essi provenivano da grossi comuni napoletani: Torre del Greco, Portici, Torre Annunziata, molti i salernitani. Secondo i dati forniti dall’allora Consiglio dei ministri, la tragedia provocò 517 morti, benché le stime siano tuttora oggetto di discussione il numero fu sicuramente maggiore, oltre 600 vittime. Alcuni sopravvissuti, che furono 90 in totale, riportarono danni cerebrali permanenti. La tragedia, avvenuta quasi al termine della seconda guerra mondiale e quasi in contemporanea alla caduta del nazifascismo, venne sottoposta a censura dalle forze alleate e, solo a partire dal dopoguerra, venne eseguita un’indagine dettagliata, con non pochi interrogativi a causa della scomparsa di diverse documentazioni. I passeggeri furono fatti passare per la maggior parte da clandestini, tesi smentita dal fatto che furono trovati i biglietti di viaggio nelle tasche delle vittime. La fornitura di carbone parte degli americani era di pessima qualità fattore determinante nella trazione delle vetture. A questo si aggiunse l’errore umano, sicuramente non determinante a scongiurare la tragedia, fu aggiunta a Salerno una seconda locomotiva che fu collocata avanti e non alla fine del convoglio dove, avrebbe potuto assicurare una spinta maggiore. Il bilancio della tragedia, secondo quanto affermato nei libri di Gianluca Barneschi, sulla base della documentazione riservata dell’indagine, fu di 626 vittime. Molte vittime tra i passeggeri non vennero riconosciute. I corpi vennero tutti allineati sulla banchina della stazione di Balvano e poi sepolti senza funerali nel cimitero del paesino, in quattro fosse comuni. Gli agenti ferroviari, invece, vennero sepolti a Salerno. Si contraddistinse nell’occasione, un conduttore ferroviario Vincenzo Cuoco, 45 anni, di Salerno, che per portare in salvo diverse persone non ebbe scampo, lasciando moglie e sette figli ,come riportato nel libro Balvano 1944. I segreti di un disastro ferroviario ignorato (Mursia editore) pubblicato il 22 febbraio 2005. L’autore, Gianluca Barneschi, giornalista del Corriere della Sera, dopo anni di ricerche, ha finalmente ritrovato gli atti della Commissione d’inchiesta Alleata sulla sciagura contenuti nei verbali del Consiglio dei Ministri del Governo Badoglio nella seduta del 9 marzo 1944 a Salerno. Il Comune di Salerno ha voluto ricordare la circostanza e quindi la tragedia, intitolando una strada, nel quartiere Pastena a Vincenzo Cuoco. Oltre al citato Barneschi, altri autori hanno pubblicato testi sulla tragedia, La compianta giornalista Patrizia Reso con il libro “Senza ritorno – Balvano ‘44, le vittime del treno della speranza” Il professor Vincenzo Esposito docente di Antropologia culturale e Antropologia interculturale all’Università di Salerno, con il suo libro e DVD “3 Marzo ‘44 – storia orale e corale di una comunità affettiva del ricordo. La tragedia di Balvano è stata raccontata nel film “Volevo solo vivere”, un Docu-Film di Giuseppe Esposito e Gennaro Francione, per la regia di Antonino Miele e Vito Cesaro.
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