Dall’autopsia eseguita all’Istituto di Medicina Legale di Milano, «non sono emerse cause macroscopiche» che spieghino la morte di Imane Fadil, la testimone del processo Ruby deceduta il 1° marzo scorso all’ospedale “Humanitas” di Rozzano. Lo riferiscono fonti qualificate che precisano: «Non è escluso che, al termine di tutti gli accertamenti, non si riesca ad arrivare a una diagnosi certa». E’ questo solo il primo passo verso la ricerca della verità sulla scomparsa della modella marocchina di 34 anni, stroncata dopo atroci sofferenze e un mese di agonia. «Per ora l’autopsia ci ha detto quello che ci aspettavamo ci dicesse, trattandosi di una paziente che è stata un mese in ospedale, sottoposta a ogni accertamento. L’iter spiega una fonte- sarà lungo e articolato e prevede accertamenti tossicologici e istopatologici. E’ un caso complesso che richiede alti livelli di approfondimento, competenze e il massimo impegno di tutti». E’ un percorso che avrà «risultanze intermedie» in base alle quali si deciderà come procedere. La Procura ha dato un mese di tempo all’équipe di esperti, guidati dall’anatomopatologa Cristina Cattaneo, per fornire gli esiti degli accertamenti, ma non è escluso che, su loro richiesta, conceda delle proroghe. Dopo avere escluso l’ipotesi dell’avvelenamento da radioattività, l’indagine della Procura di Milano mira a capire se Fadil sia stata uccisa da sostanze letali di altro genere oppure, come pare probabile, da una malattia rara che i pur validi medici dell’“Humanitas” non sono riusciti a individuare.
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